Domenica della Passione del Signore – 5 aprile 2020 – Matteo 26,14-27,66
Anticipo la lunga pagina della passione di Matteo con l’estratto di un articolo di Paolo Rumiz comparso il 24 marzo in un quotidiano.
“Non ce la fai a stare chiuso a casa?”, si chiede su Facebook Azra Nuhefendic, bosniaca in Italia. “Sei annoiato da tv e videogiochi? Preoccupato perché mangi troppo? Bombardato da messaggi, stanco di disinfettarti e fare la fila ai negozi? In crisi di nervi perché i bambini sono insopportabili e non puoi uscire a fare jogging, o angosciato da strade vuote e silenzio? Bene. Ora immagina che ti tolgano il gas. Niente cottura, niente riscaldamento, niente acqua calda. Immagina di avere l’elettricità tagliata: niente scuola online, niente tele-lavoro, niente ascensore; e niente acqua, nemmeno per la toilette. Immagina che il termometro sia sotto zero e di camminare per casa con dieci strati di roba. Immagina che, invece di aspettare nella fila del supermercato, sei in fila con i bidoni per prendere acqua a tre chilometri da casa. Immagina che invece di fare jogging devi tagliare l’albero di un parco per scaldarti o stare in fila ore per un pacco di aiuti umanitari. Immagina che sei ferito mentre fai la fila per il pane o colpito da un cecchino mentre vai a respirare in terrazza. E che, invece del silenzio, hai granate che cadono ogni tre minuti. Ecco, è Sarajevo durante l’assedio”.
Ha nevicato – continua Rumiz – dai Balcani alla Spagna, e io me ne sto al caldo a preparare una torta salata col frigo pieno. Di cosa ti lamenti europeo? I clandestini in arrivo proprio qui, in questi giorni estremi, da posti come la Siria, ce lo ricordano oggi più di prima. Ci dicono che siamo fortunati, che è mille volte meglio ammalarsi di Coronavirus in Italia che in Iraq. Forse per questo i profughi danno fastidio. Perché vorremmo essere liberi di piangerci addosso.
Ho scelto di rileggere con voi questo pezzo giornalistico per trovare insieme la forza di attraversare le nostre passioni, non ignorando chi attraversa la vita in modo ancor più drammatico. Credo sia giusto. Abitiamo la nostra umanità sì infragilita ma allargando lo sguardo su quanti fanno più fatica di noi a sperare.
Per tutti la Pasqua a cui ci approssimiamo sia attraversare il limite, la fatica, l’odio, il dolore, la perdita, la stessa morte con il medesimo amore con cui Gesù ha attraversato il suo patire e il suo morire. E’ di Luca una fra le sette parole di Gesù dalla croce: “Padre, perdona loro, poiché non sanno quello che fanno” (23,34). Non ci manchi la stessa audacia che è l’audacia dell’amore.