Domenica 25 ottobre 2020 – 30^ TOA – Matteo 22,34-40
Amerai! Questo verbo al futuro che incontriamo due volte nel vangelo di oggi ci riconsegna al nostro futuro e a tutte le occasioni in cui possiamo ancora giocarci la carta dell’amore. Amerai! E ogni precedente fallimento non ci tarpa le ali. Amerai! E le ferite inferte o subite non ci tolgono l’energia per sperimentarci ancora nell’avventura dell’amore. Amerai! E le cocenti delusioni non ci danno per vinti, non mortificano il desiderio di riprovare. Venerdì su un muro ho letto una frase, di quelle che bisogna ricordare: “Credo ancora nell’ancora”. Ecco il perché di quell’amerai di Gesù. Ci crede lui perché possa crederci anch’io. E amerai Dio col tutto di te perché è questa la misura sua, il tutto di lui. Il tutto di noi a Dio ma non per consegnare al mondo solo le briciole di noi. Il tutto di noi a lui perché qualcun altro o qualcos’altro non diventi l’idolo che fabbrichiamo e a cui ci votiamo annullandoci, ammalandoci, perdendoci. Capita! E neppure così poco di frequente. Questo Dio che sembra sequestrarci interamente, accaparrarci avidamente, questo Dio che sembra geloso di quell’amore con cui possiamo amare altro e altri, in realtà forse ci mette al riparo da noi e dal rischio di ammalare le relazioni con le cose e le persone. Amare male e permettere che ci amino in maniera sbagliata è un rischio sempre in agguato. Saremmo ingenui se pensassimo che l’amore non possa ammalarsi. L’amore può essere sbagliato quando pensiamo di riceverci solo dall’altro o al contrario quando presumiamo che all’altro io possa bastare. Non mi avventuro nel tentativo di diagnosticare l’amore ma so che possiamo ammalorare l’amore, quanto malato può essere l’amore per i figli, e mi limito a quest’unico esempio. Amarli facendone un trofeo da esibire, amarli come spazio della mia realizzazione e quindi proiettando in loro le mie aspettative, amarli pretendendoli perfetti nel tentativo di lasciarmi alle spalle i miei fallimenti, amarli perché attraverso di loro supero i miei limiti, amarli perché con loro esorcizzo la paura della morte, amarli sostituendomi a loro nella fatica, nell’impegno, nel sacrificio per alleggerirmi la coscienza rispetto alle inadempienze… Amare Dio può voler dire saper amar meglio gli altri? Amare Dio, mi sembra si evidenzi nel salmo che abbiamo pregato, significa metterci al riparo dalle derive dell’amore ma anche mettere al riparo la vita degli altri imparando ad amarli senza usarli. Dal libro dell’Esodo raccogliamo una manciata di situazioni in cui siamo messi in guardia dal rischio dell’individualismo, del narcisismo, dell’egoismo. L’altro è quel prossimo di cui non posso approfittare e sulle cui disgrazie avvantaggiarmi, sarebbe meschino. Amare Dio col tutto di me sia scuola per imparare ad amare senza farci troppo male.
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