Giovedì Santo – 1 aprile 2021
“Questo è il mio corpo che è per voi”. Il mio per voi. Io per voi. Questo messaggio arriva a condensarsi attorno ai giorni della Pasqua dopo aver in realtà attraversato tutta la vicenda terrena di Gesù. I segni raccolgono la verità di un percorso disteso nel tempo che ha incrociato la storia di Gesù con quella di tanti. Ci si potrebbe chiedere, alla vigilia della condanna a morte, dove sono andati a finire tutti coloro nella cui esistenza Gesù ha sciolto la propria. Una folla sterminata di uomini e donne che avrebbe potuto contro-testimoniare raccontando quanto fossero vivi grazie a colui che aveva spartito l’energia che lo abitava perché la vita d’altri potesse riaccendersi, dilatarsi. Segni, quelli di ogni giovedì santo, che non restano muti. Pane che si spartisce e vino che si condivide attorno al tavolo di una Pasqua simbolica, il giorno dopo, sul Golgota, sono carne appesa al legno e sangue che cola da ferite profonde. Le nostre eucarestie sono segno ma ben capiamo che non possono restare solo segno. Sarebbe impoverirle, tradirle, snaturarle, profanarle. La domanda allora è questa: quanta vita d’altri sciolta in me perché io sia oggi quel che sono? E quanta vita mia diluita negli altri perché continui a scorrere in loro e contribuisca a rigenerarla? Ecco perché il pane dell’eucarestia non è solo pane, è vita che regala forza a vite spente. Qualcuno enfatizza il segno accogliendo l’eucarestia su una mano ricoperta da un fazzoletto, quasi non fossimo degni di toccarla, qualcuno si inginocchia davanti al tabernacolo appena dopo aver ingerito quel pane. Enfatizziamo il segno e magari bistrattiamo la vita, il corpo degli altri e il nostro che sono presenza, quindi tabernacolo che custodisce il tesoro che siamo, che gli altri sono. Qualche tempo fa il Giornale di Vicenza dava la curiosa notizia del fatto che a Tavernelle, una parrocchia vicentina in cui è parroco un nostro compagno di classe, avessero fatto sparire dalla chiesa perfino il tabernacolo. Profanazione? Sì! Ma in realtà non ho problemi a dire che la reale profanazione è un’altra. Tante sono le vite a cui è sottratta vita, vite che non ricevono la nostra compassione, che non conoscono la nostra emozione. Nella lettera circolare che un caro amico prete ha indirizzato anche a me nell’anno in cui ricorre il 50° anniversario di ordinazione scrive, sintetizzando la teologia pratica di papa Francesco: “ci impegniamo come credenti, assieme agli uomini e donne di buona volontà, a perseguire la cura della casa comune, a promuovere la cultura dell’incontro, a sopprimere la cultura dello scarto, ad arrestare la desertificazione spirituale, a invertire la globalizzazione dell’indifferenza sostituendola con la globalizzazione della solidarietà, a combattere l’economia dell’esclusione, a rafforzare il dialogo ecumenico e interreligioso perché siamo tutti fratelli. L’eucarestia che abbiamo compresso in un rito spesso stanco, istituzionalizzato in forme rigide, è in realtà l’annuncio profetico di un’esistenza che non può semplicemente essere memoria bloccata in gesti meccanici ma azione che rigenera le relazioni facendo di me un uomo di nuovo capace di emozioni e quindi di gesti che si fanno carico della vita degli altri a rischio del mio venerdì santo.
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