Pasqua di Risurrezione – Domenica 4 aprile 2020 – Giovanni 20,1-9
Come non sapessi più rispondere, ho chiesto ad alcune persone che conosco di dirmi non cos’è Pasqua ma cosa potrebbe essere Pasqua per loro e così essere aiutato ad abitare la mia domanda. L’ho chiesto a Jenny sposata con Riccardo, un uomo che, da più di 10 anni, la SLA costringe a letto. Sentite cosa mi ha scritto: “A Pasqua carissimo don Stefano il mio pensiero è sempre lo stesso… vedere Riccardo che corre incontro ai suoi figli e li abbraccia. E ti confido che sarei contenta di vederlo anche dall’alto, se proprio dev’essere, io ho già avuto tanto. È solo una stupida illusione? Guarda che lo chiedo a uno che dicono abbia guarito ciechi, sordi e lebbrosi, trasformato l’acqua in vino, camminato sulle acque e per di più risuscitato Lazzaro, morto da ben 4 giorni. Quindi? Chi è più matto? Lui o io che dopo aver letto e ascoltato ci ho pure creduto? Ma non mi arrendo di certo anche se ultimamente mi rivolgo a lui in malo modo e a volte non so più a cosa credere. Una vocina dentro di me non mi dà pace e continua a dirmi: Jenni non arrenderti, ci sei quasi. Ecco amico mio, quando questo succederà sarà la mia Pasqua. E Matteo, un giovane non credente mi scrive: “Forse un credente trova la sua liberazione nello sperare”. Per l’antico Israele, alle prese con la propria Pasqua, continua Matteo è solo l’inizio di un’avventura, non è già compimento, è promessa in un cammino che si apre. Pasqua allora sia tener viva la speranza, come ci dicono Matteo e Jenni, far di tutto per non spegnerla in noi, per non gettar fuoco su quella degli altri. Non so se queste parole avrebbero però la forza di scalfire il pessimismo e l’angoscia in cui è immersa la vita di un’altra persona che mi è cara e di cui per delicatezza non vi consegno il nome. È un uomo pieno di rancore per una vita che gli ha tolto tutto: l’affetto di un padre, la complicità di una moglie, l’orgoglio dei figli, il calore di una casa. Nella Pasqua di quest’anno vaga senza meta carico di rabbia, di solitudine, di incertezza. Mi manca qualcosa a cui afferrarmi, mi scrive, la vita non mi sta offrendo più niente di bello, mi è stato tolto tutto. Quando sento il profumo di cibo che esce dalle finestre di una casa penso al fatto che non ho neppure un fornello su cui cucinare una pasta in bianco, annuso in quei profumi l’amore di chi ci vive e la malinconia mi assale, si impadronisce di me. C’è un abisso tra la Pasqua che vorrei e quella che in realtà sarà. Mi disarma la storia di quest’uomo e rischia di svuotare la forza di questa Pasqua. Il suo sepolcro oggi resta ancora sigillato, nessun annuncio sconvolgente, nessuna buona notizia. Avevo tentato di averlo come ospite a pranzo oggi, ma non so ancora se verrà. Riemergo da questo abisso e prendo aria grazie alle parole di un altro Matteo, qualche mese mi racconta di dover subire un intervento per l’asportazione di un cancro. È lui che mi aiuta oggi a ritornare con voi sul vangelo di Giovanni e al particolare delle bende posate in un sepolcro svuotato. Il corpo non c’è! È la vita, mi dice Matteo, che sta oltre il corpo, vita che un corpo non riesce a trattenere, che non si ferma lì. Nel vivo di un’esperienza faticosa, continua Matteo, pur abitando un corpo dolorante, sentivo che la vita dentro era più forte, vinceva. A Pasqua la vita grida sopra a tutto. Grazie Matteo! Che i pollini di questa vita cocciuta, sospinti dal vento della Pasqua, raggiungano la vita spenta, avvilita di tanti fratelli e sorelle che attendono noi come annuncio pasquale. Noi parola di risurrezione, noi Pasqua, noi piccola risorsa d’acqua per la sete di qualcuno. Ho sete! Dice ancora qualcuno appeso al suo legno. Irrigare quella sete è ancora possibile. Il Golgota non può diventare giardino? Certo che sì.
0 commenti