Domenica 18 luglio 2021 – XVI TOB – Marco 6,30-34
Non vorrei inerpicarmi per sentieri un po’ troppo impegnativi ma leggere questo vangelo e il fatto che Gesù inviti i suoi a seguirlo in disparte, in un luogo deserto, mi ha fatto pensare al termine ebraico deserto (midbar) e ad un altro assai prossimo, almeno per l’assonanza: dabar (parola). Il midbar è il luogo del dabar, cioè, il deserto è il luogo della parola, altro che del silenzio e dell’assenza di parola, di digiuno dal parlare, tutt’altro. Nel deserto sì, ma per raccontarsi, per dirsi. E non vi pare che di parola ci sia fame? Sembra che ci sia bisogno di silenzio, spesso lo ribadisco anche per me stesso, e invece ho l’impressione che sia la parola a mancarci di più. Ieri ho sentito una mia amica la cui sorella sta facendo grossissimi passi in avanti rispetto ad una prolungata e pesante stagione depressiva. Mi raccontava che al telefono le diceva di essere sì stanca, spossata, stremata, ma di aver un bisogno infinito di parole, parole che prima lei voleva a tutti i costi evitate, ti fulminava con gli occhi se solo pensavi di chiedergliele o a tratti di estorcergliele. Ecco, le parole fanno riposare e quindi ridonano energia, vigore. Le parole guariscono, risanano, rappacificano. L’abbiamo letto anche nella lettera agli Efesini: Gesù è quella parola che abbatte il muro di separazione, che supera la divisione, che elimina l’inimicizia. Ho pensato che in tante circostanze ci manca la parola o la neghiamo: quando siamo imbarazzati, quando siamo emozionati, quando siamo impauriti, quando siamo arrabbiati… in queste situazioni non abbiamo parole, non vogliamo parole e invece quanto è importante ritrovarle e donarsele reciprocamente. Dobbiamo trovarle, scovarle, disseppellirle perché siamo costitutivamente soggetti di parola. Quanta fatica facciamo noi grandi con i più giovani perché elemosiniamo per un verso parole che non ci offrono e per l’altro saper consegnare parole che invece fatichiamo a far affiorare. Ci mancano le parole, non le troviamo, eppure servono perché scovarle significa consentire a se stessi e agli altri di ritrovarsi, di abitarsi, di incontrarsi. Certo di parole ne diciamo anche in più, anche di troppo. Le parole a volte sono inutili, sono pesanti, sono offensive, sono taglienti ma togliere la parola ad una persona è decretarne la morte, è condannarla a morte. La parola è relazione e la relazione è esistere. Quanto è importante ritrovare le parole migliori, quelle non gridate, quelle pensate. Quanto pesano certe parole che ci sono state dette magari mille anni fa ma sono ancora lì a gravare sul cuore, o quanto ancora ci fanno felici altre parole pur lontane, ma indimenticate. Quand’ero in seminario il nostro padre spirituale lasciava in portineria un quadernetto a disposizione di tutti perché fosse riempito di parole (lui le chiamava) belle. Quante parole belle abbiamo detto o ci sono state dette? Ho ripensato in una veloce carrellata quelle di Gesù: Neanch’io ti condanno. Tua figlia vive. Oggi sarai con me in paradiso. Oggi devo fermarmi a casa tua. Alzati e cammina. Ti sono rimessi i tuoi peccati. Lazzaro vieni fuori. Il vangelo ci aiuti a riscoprire la forza delle parole, la loro bellezza. Ci aiuti a ridar vigore alle nostre parole perché la vita si ritrovi.
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