Domenica 25 luglio 2021 – XVII TOB – Giovanni, 6,1-15
“Dallo da mangiare alla gente”. Eliseo ingiunge, per due volte, all’uomo che gli porta in dono dei pani d’orzo e del grano, che lo dia alla gente. Non lo sequestra per sè, è per la fame d’altri. Ne avanzerà perché ciò che non trattieni, non accaparri, ciò che spartisci, condividi e metti in comunione genera una cultura di comunione, una prassi, uno stile, un’abitudine. Ma non è affatto scontato perché il prima me, che diventa spesso, prima noi, ancora per garantire il mio, sia chiaro, è barriera difficile da superare, è muro duro da scalfire, è confine ben delimitato arduo da oltrepassare. È quanto il vangelo, all’inizio di quel capitolo 6 di Giovanni, tutto dedicato al discorso sul pane di vita e che spezzetteremo via via nelle prossime domeniche, ci consegna a partire dal gesto spontaneo e libero di un ragazzo che non tiene per sé quanto ha e mettendolo in circolo forse convince altri a fare altrettanto, a non nascondere nel fondo delle proprie bisacce quel che hanno appresso e vorrebbero gelosamente trattenere per sè. È chiaro che ciò di cui uno può disporre è poco se la fame da spegnere è quella di tutti, ma se tutti mettono insieme anche il niente che hanno, basterà e ne avanzerà. L’obiettivo è chiaro e ce lo riconsegna Paolo nella lettera agli Efesini, che il corpo sia uno! È una folla indistinta quella che sta alle calcagna del Maestro, senza forma, senza volto, senza contorni. Gente raccogliticcia, un branco di umanità disunita, e sfilacciata, accomunata soltanto dal bisogno di star meglio. Non è una comunità. Ognuno è lì per raggiungere il suo obiettivo, per soddisfare il suo scopo. Cos’hanno da spartire? Forse si guardano in cagnesco (come quando si sta infila in posta), forse ciascuno diffida dell’altro, forse regna un clima di sospetto perché l’importante è che ognuno appaghi il suo bisogno, soddisfi la sua aspettativa. Fare di una folla un popolo. Gesù mette alla prova i suoi, quelli che già da un po’ gli stanno appresso ma non ce la fanno ad entrare nella sua visione, ad allargare il proprio sguardo alla misura del suo orizzonte. Li batte tutti un ragazzo che non si inventa alternative che lo deresponsabilizzino, scuse che lo giustifichino. Decide di mettersi in gioco accettando il rischio di perdere. Chi gioca può vincere ma può anche rimetterci. Dobbiamo solo decidere di abitare il mondo disposti a vivere il rischio insito in ogni sogno, in ogni visione che sia solo un pochino più larga dello stretto orizzonte del nostro minuscolo interesse. Siamo spesso vigliacchi, e aspettiamo solo che qualcuno alzi la mano prima di noi per fare quello che non vogliamo fare. Quei pani avanzati cosa sono? Sono il rimprovero per la nostra codardia, la nostra meschinità. Mettici alla prova Signore, vediamo se saremo una buona volta capaci di fare il primo passo e non perché tutti gli altri posti sulla nostra stessa fila retrocedono consegnandoci alla ribalta, no, perché accettiamo di rimetterci, di perderci. Il corpo è uno se qualcuno per quel corpo paga. Se non paga nessuno rimaniamo isole, tutt’al più arcipelaghi, difensori di un interesse di casta, di categoria, di gruppo. Ma così non si diventa popolo.
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