Domenica 14 novembre 2021 – XXXIII TOB – Marco 13,24-32

Pubblicato da emme il

Alcuni fra i 18 miliardi di contatti attivati per seguire su Netflix la serie coreana Squid Game, tradotto: il gioco del calamaro, sono miei. È atroce quello che si vede, gente indebitata fino al collo viene astutamente convinta a partecipare ad un gioco che potrebbe risolvere i problemi economici, e non solo. Ben presto però si accorgono che chi perde, si tratta di giochi che tutti hanno fatto da bambini, perde letteralmente la vita e i giocatori finiscono per essere dei burattini manovrati per far divertire pochi riccastri. Parlare di Squid Game in una giornata come questa, dedicata ai poveri, può avere il suo senso. Quanta gente abita il mondo come fossero pedine in mano a giocatori senza scrupolo. Ebbene quel mondo orrendo che la serie televisiva ci fa vedere è quell’apocalisse di cui scrive Marco nel suo vangelo: “il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte”. La vita di tanti è questa roba qua, a tratti la vita di tutti. Quanta tenebra può affollare una vita, quanto buio può dilagare nelle esistenze e per i motivi più disparati. Non ci servono le serie tv per fare i conti con l’efferatezza, la mostruosità, la crudeltà che l’umano può esprimere ma in Squid Game la cosa che mi ha colpito è aver visto come riuscisse a farsi spazio, ad incunearsi in quell’inferno, ad intrufolarsi in quell’incubo la pietà, la tenerezza, l’emozione. Ecco che in pieno inverno l’estate si approssima in un ramo di fico che si intenerisce e in germogli impavidi. In questa tenerezza egli è vicino, alle porte. È la metà di novembre, siamo in quella che la tradizione chiama estate di San Martino. Oggi è tutto così poco decifrabile, ma sembra che anche in un recente passato, dopo i primi rigori sopraggiungesse una rapida, breve tregua che stemperava per qualche giorno il clima intiepidendo di nuovo la terra. Uno scampolo di tepore che la leggenda attribuisce al gesto di san Martino il quale in una notte di ronda si imbatté in un povero intirizzito dal freddo e per capovolgergli la sorte tagliò un pezzo del suo mantello e glielo donò. Cosa scalda il mondo se non il dono di noi e di ciò che è nostro, cosa intenerisce l’esistenza se non il calore di una prossimità. Tutto passa, il cielo, la terra. La parola che non passa è quella che germoglia perché la luce di un gesto di umanità torna a farla riverberare. Mi piace ricordare anche che nel giorno di San Martino tutto ciò che passa da una mano all’altra è spezzato a metà in memoria di quel gesto di squisita umanità. Il pane di questa eucarestia è pane spezzato, è parte di un tutto che si ricrea dentro la vita. Qui condividiamo, spartiamo, spezziamo per riuscire ad essere uno là dove il rischio è quello di essere ognuno per se, estranei, sconosciuti, distanti…


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