Domenica 23 gennaio 2022 – 3° TOC – Luca 1,1-4;4-14-21
Tanta Parola nella domenica della Parola. Se ricordate è stata istituita da Papa Francesco qualche anno fa, era il 2020. Noi cattolici, rispetto ai fratelli protestanti (ci ricordiamo che siamo nella settimana di preghiera per l’unità dei cristiani), abbiamo, nei secoli, concentrato l’attenzione, in maniera quasi univoca, a volte esagerata, a tratti perfino deviata, sulla dimensione sacramentale, trascurando, ahimè, alla grande il patrimonio che rappresenta la Scrittura. Di converso i protestanti per reagire a quella che poteva sembrare una deriva hanno affinato il loro rapporto con la Bibbia e quindi tutto il loro mondo cultuale e intellettuale se ne è lasciato più decisamente contagiare. Della prima lettura rendo evidenti quegli elementi fisici, corporei che accompagnano l’ascolto della Scrittura: tendere l’orecchio, mettersi in piedi, alzare le mani, inginocchiarsi, prostrarsi con la faccia a terra, piangere. Le nostre liturgie conservano solo qualche timido frammento di quella ricca gestualità che parla di coinvolgimento di un corpo che esterna, evidenzia lo sconvolgimento del dentro provocato dall’ascolto di una Parola da cui gronda vita e quindi emozione e commozione. Parole che intensamente ascoltate hanno la forza di trascinare la vita nell’avventura della comunione e nella sfida della condivisione. Al verso 10 del capitolo 8 di Neemia abbiamo letto: “Andate, mangiate carni grasse e bevete vini dolci e mandate porzioni a quelli che nulla hanno di preparato”. E l’eucarestia che celebriamo, il pasto pur rituale che spartiamo, quella comunione che siamo chiamati a vivere fuori così come qui dentro viene, pur simbolicamente riprodotta, non scaturisce forse, anche per noi, dall’ascolto appassionato e intelligente della Scrittura? “Ignorare la Scrittura significa ignorare Cristo”, diceva san Girolamo. “Parole, parole, parole… soltanto parole, parole tra noi”, cantava Mina, ricordate? Parole, soltanto parole? Anche Gesù nella sinagoga di Cafarnao legge parole dal profeta Isaia. Sono parole a cui il suo corpo darà una forma nell’incontro con le storie di tanti che appartengono a quelle categorie di cui leggiamo: poveri, prigionieri, ciechi, oppressi. Parole che in lui scavano un solco e germogliano, cioè si compiono, diventano. Torno a quella fisicità espressa dal popolo in ascolto… se la Parola, pur di Dio, genera quei gesti, cosa può produrre la vita, la storia di un uomo, il suo racconto se mi metto in ascolto? La premura degli orecchi tesi, la commozione delle lacrime, il rispetto dello stare in piedi, la lode delle mani aperte, la venerazione dell’inginocchiarsi. Ci riusciamo a malapena con Dio, figuriamoci se questo effetto ce lo fa un uomo che si racconta, che ci dischiude il suo mondo, che ci consegna se stesso. Ma sarebbe grandioso. I tabernacoli a cui prostrarsi sono gli uomini e le donne che attraversano la nostra vita. Ascoltare… forse è la cosa che più ci fa uomini. E se uno riesce ad ascoltarmi davvero, ecco quell’ascolto forse mi rifà uomo, mi rifà figlio, mi rifà fratello.
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