Domenica 30 gennaio 2022 – IV TOC – Luca 4,21-30
Cosa trasforma la meraviglia in sdegno? Sì perché questo è il passaggio che si realizza repentinamente nel breve spazio di una manciata di versetti. Mi pare di capire, se non sbaglio, che si tratti del rammarico per il fatto che altrove Gesù fa cose che fra i suoi non fa. Hai avvantaggiato altri e non avvantaggi i tuoi? Mafiosetto come ragionamento, non vi pare? Ricordo di aver visitato quello che reputano essere stato il ciglio della rupe dalla quale volevano far precipitare Gesù, poco fuori Nazareth. Perché? Perché sei inutile se non ti occupi di noi, del nostro benessere, non ci servi, se non ci favorisci. Questo sembra essere il ragionamento. Niente di così sconosciuto, di così estraneo, non vi pare? Facciamo presto ad accantonare gli altri, a disfarcene, se non ci servono. Spesso le persone sono catalogate a partire dai vantaggii o dai fastidi che mi procurano. È così! Chi sono gli altri? Venerdì sono stato a casa a pranzo e ho chiesto ai miei di dirmi le cose belle sul conto di mio fratello. Il papà mi ha detto che gli piace di lui il fatto che ci tiene all’ordine, che si dà costantemente da fare perché tutto a casa sia perfetto. E alla mamma il fatto che ogni giorno lui faccia loro visita. Cose belle indubbiamente. Ma mio fratello non è solo questo. È ben di più di quello che fa per loro. Certo, l’altro è quello che fa per me. Ma è anche quello che fa per se stesso, è quello che fa per gli altri, è quello che è nell’ambiente in cui lavora, è quello che sceglie per divertirsi, è quello che esprime nel volontariato che fa, è quello che decide per crescere i suoi figli, è quello che mette in campo per abitare le sue amicizie. Per te sono qualcosa ma sono anche tanto altro. Ecco lo sguardo per contemplare gli altri. Cosa sono oltre quello che fanno per me, oltre il loro essermi utili o perfino oltre il rappresentare un fastidio, un peso. Sono certo che questo è lo sguardo di Dio su ciò che vive. “Domani, in quali occhi farà scalo il mio stupore?” (Fabrizio Caramagna). Quanto vorrei essere capace di meraviglia per l’altro, oltre le mie aspettative soddisfatte o deluse. Meraviglia. Ho l’impressione che si viva meglio se si rimane ostinatamente disposti a meravigliarsi. Pensate che c’è addirittura una giornata dedicata alla meraviglia, il 10 marzo. Meravigliarsi è non dare nessuno e niente per scontato. Meravigliarsi è astenersi dal pretendere un risultato che ho già calcolato per affidarsi al dono e quindi all’imprevisto, all’inatteso. Meraviglia è il coraggio del rischio, quello di cui fu capace la vedova di Sarepta di Sidone, è cedere all’improbabile, come per Naaman, il Siro. Cosa vorrà dire per me? È restare aperto al dono tentando di addomesticare la spinta vorace di trasformare tutto e tutti in un rapido e sicuro tornaconto.
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