Giovedì santo – 14 aprile 2022 – Giovanni 13,1-15

Pubblicato da emme il

Il frammento è una parte alquanto piccola di un tutto, è ciò che resta, è ciò che rischia di essere scartato e di finire nella spazzatura. È il brandello di un pezzo di stoffa che puoi strappare per disfartene, è la scheggia di una pietra che sembra inutile nell’architettura di un muro in costruzione, è il coccio di un manufatto in terracotta, è il passo di un testo letterario o il singolo brano di un’opera musicale, è la briciola, cioè il resto, l’avanzo di un alimento. Il frammento generalmente è ciò che non serve, è ciò di cui puoi fare anche senza, è il non vitale. Nell’eucarestia, quando si è finito di distribuire la comunione, il prete raduna quanto avanzato in un unico vaso e purifica il calice e i piatti con cui le particole sono state distribuite. Cioè fa in modo che non resti una goccia di quel vino e non vengano disperse le briciole di quel pane. Prendevamo un po’ in giro don Paulo, il prete brasiliano che qualche anno fa veniva ad aiutarci a Natale e a Pasqua. Ci faceva sorridere l’eccessiva meticolosità con cui recuperava quanto avanzato, a volte si trattava di particelle davvero minuscole che non rimandavano più al prodotto originario. Dietro questi gesti mi pareva si celasse un’idea del sacro senza equilibrio e tutto mi sembrava eccessivo. Mi impressionò il racconto di Dario, un prete amico, che ha studiato teologia a Parigi. Celebrava abitualmente l’eucarestia a Saint Sulpice a Parigi. Una domenica un monsignorotto romano che transitava di lì chiese di poter concelebrare. Sembrava smaniasse per avere un ruolo, per poter far qualcosa. Gli fecero distribuire la comunione ma a Parigi non si tergevano più pollice e indice sulla bocca del calice dopo che si era distribuita la comunione. Per il resto della messa restò con le due dita appiccicate, potevano esserci dei frammenti di eucarestia fra le due dita e non si poteva rischiare di smarrirli. Il guaio fu che tutti i preti alla fine della messa scesero all’ingresso principale per salutare le persone mentre uscivano di chiesa. Immaginatevi questo tale che dava la mano con il pollice e l’indice ancora incollati. Ridicolo. Alla fine di tutto corse in sacrestia, si purificò e magicamente le due dita si staccarono, come fosse stato sciolto un incantesimo. Forse sono cose che qualcuno di voi ancora ricorda. Perché ho citato questi due piccoli fatti. Da una parte per ricordarci che il frammento ha la dignità del tutto, e qui frammento sta anche per scarto. Don Paulo e il suo ossessivo recupere tutto può essere l’immagine di colui che sta al mondo non trascurando e piuttosto esaltando la marginalità e la fragilità di qualcosa o di qualcuno, non cedendo al fascino e alla prepotenza del tutto che senza quel frammento non è davvero il tutto. Il pretone romano invece ci invita a pensare che non puoi dimenticarti della sacralità del profano per rifugiarti nel sacro dei riti, senza consistenza e senza vita se celebrati in un certo modo. Cosa volete ci fosse stretto fra quelle due dita appiccicate? C’era ben di più in quelle mani da stringere alla fine della messa, c’erano occhi in cui tuffarsi, parole da ascoltare, sorrisi da regalare. La memoria del pasto di Gesù, come l’eucarestia di stasera, sarà vuota pratica liturgica se non fecondano la vita nella cura del frammento, nella valorizzazione del niente, e svuoterà anche il nostro tutto. Il frammento è l’altro che non cerchi e non custodisci ma è anche quel pezzetto di te senza dignità di cui vorresti disfarti, ma anche lì ci sei, anche quello è parte del tuo tutto.


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