Domenica 29 gennaio 2023 – IV TOA – Matteo 5,1-12
Non so più perché ma venerdì sera a cena abbiamo parlato di felicità e domandavamo al più giovane tra noi se fosse felice, da buon adolescente ha detto naturalmente di no, chissà cosa serve a farli felici! Assan l’ha poi chiesto a don Adriano che invece ha detto subito sì. Ma perché? gli chiedavamo… perché di lì a poco sarebbe cominciato l’incontro con don Matteo Pasinato e gli piaceva l’idea di immergersi in uno spazio di parole circondato da altre persone interessate come lui ai discorsi che si andavano a fare. È la felicità legata al frangente che la vita ancora ti offre, andare oltre non ha senso, mi assaporo il qui e l’ora, e mi basta. Anche Alex, appena arrivato da Vicenza ha detto senza esitazione sì, sono felice, forse perché, venendo in parrocchia, metteva tra parentesi, almeno per un attimo, la preoccupazione per gli esami. La felicità, o meglio il suo contrario, se ne parlava anche giovedì sera all’incontro che abbiamo offerto ai genitori della catechesi e ai catechisti, lo psicoanalista che abbiamo invitato parlava della necessità di fare i conti con la propria infelicità. Mi intrattengo su questa parola perché è di fatto quella che a ripetizione ci ha consegnato il vangelo. Beati, macarioi in greco, sono i felici, coloro che sono liberi dalle ansie, affrancati dagli affanni, svincolati dalle preoccupazioni del quotidiano. Ma allora chi può dirsi felice? Tra l’altro il vangelo di oggi mette in fila una serie di situazioni limite o di atteggiamenti legati, secondo la logica del mondo, più ai perdenti che ai vincitori. Felici, dentro questo orizzonte desolato? Impossibile! Ma la vita non è forse anche questo, non solo questo per fortuna, ma sovente anche questo. È fare i conti con la fragilità, la desolazione, la precarietà, l’ingiustizia ed è al contempo decidere di starci dentro senza diventare iene, il vangelo direbbe, mitemente, misericordiosamente, onestamente, pacificamente. In un mondo, in un tempo, ma sarà sempre stato così immagino, in cui rincorriamo la felicità, a tutti i costi, con tutti i mezzi, in cui affannosamente la cerchiamo, credo che Gesù ci stia sostanzialmente dicendo, non di scegliere l’infelicità, il vangelo non è proposta masochistica, doloristica, ma piuttosto di capire come viverla, come riconciliarsi con essa, come a tratti conviverci, chiaro senza affezzionarvicisi perché, di fatto, l’infelicità è ospite più o meno stabile dentro i nostri giorni, c’è poco da fare. Cosa dire a chi fa i conti con la fragilità della salute propria o dei propri cari, cosa dire a chi fa i conti con la solitudine cronica di un’esistenza mai fiorita in un legame esclusivo o imposta dalla perdita di una o più persone care, cosa dire a chi vede limitato, condizionato, ostacolato il diritto di stare al mondo come tutti, cosa dire a chi abita la propria differenza e fa i conti con la discriminazione? Non ci credevo, ma ho trovato conferma del fatto che la parola ‘magari’, ha la stessa radice della parola greca felici, macarioi. Magari, cosa? Magari trovo la strada per essere in pace anche dentro la fatica. Magari trovo qualcuno con cui condividere la lotta.Magari scopro un Dio che mi incoraggia a tener viva la speranza. Magari nell’accettare il limite, e questa non è rassegnazione, l’orizzonte si allarga oltre ogni aspettativa, oltre ogni desiderio.
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