Domenica 26 novembre 2023 – Cristo Re
Forse avete già avuto modo di mettere gli occhi su questo dipinto di proprietà della Fondazione Pirani-Cremona e conservato presso la chiesa dell’Annunziata in Via Museo a Bassano. È un’opera di autore veneto anonimo che risale al 1620 circa. È un’opera potente che come vedete racconta il vangelo di oggi chiaramente interpretandolo. Nella parte bassa le 7 opere di misericordia cosiddette corporali, nel vangelo sono sei, la tradizione ne ha aggiunta una: seppellire i morti. I più anziani hanno imparato a memoria anche le 7 opere di misericordia spirituale, non è vero? Non sono affatto meno importanti di quelle corporali. vediamo se se le ricordano… E’ importante dire qualcosa sulla parola misericordia. Significa aver cuore per le fragilità e quindi per il fragile. Le parole ebraiche che fanno da sfondo sono hesed, il sentimento che fa sì che io ti aiuti e non ti lasci in balia del tuo limite… e raham che significa utero, e quindi misericordia è l’amore di una madre, l’amore che viene da dentro e non puoi estirpare tanto è profondo, intimo, intenso. Il dipinto, come il vangelo a cui si ispira, mette in scena situazioni diverse in cui qualcuno fa qualcosa. Non ci sono parole, lo spazio è tutto sequestrato dai gesti, dal fare qualcosa per qualcuno. Quanto si può fare a partire dal bisogno di qualcuno! Un bene di cui sono capaci tutti, nel dipinto vedete più di qualche figura con un turbante sulla testa. Di chi si tratta? Il pittore (siamo nel ‘600, ricordiamocelo) mette nella sua tela anche dei turchi, quindi dei mussulmani. Il bene è bene, non importa da dove arrivi e chi lo faccia. Non ci sono classifiche e non ci sono monopoli. Un altro elemento interessante da notare è il fatto che Gesù ritorna in tutte e 7 le scene. Si legge: “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Dio è il povero, ogni povero. Ma a questo punto è anche vero che ogni povero è Dio. C’è poi la parte superiore del quadro, quella del cosiddetto giudizio universale o finale. Quando non rimane più niente l’unica cosa che rimane è l’amore, quello ricevuto e quello donato. Ermes Ronchi nel commento che abbiamo riportato, come ogni settimana, nel foglietto, scrive: “Il tempo dell’amore è più lungo del tempo della vita”. L’amore sopravvive a chi non c’è più e li rende eterni. Si potrebbero dire tante altre, l’unica che aggiungo viene da uno sguardo sulla scena centrale: l’accoglienza dello straniero. Sembra il riferimento ad Emmaus, i due che, dopo la risurrezione, riconoscono Gesù in un pane che si spezza. Le due scene immediatamente a sinistra sembrano rimandare ai due sacramenti che fondano la nostra identità credente, il battesimo nella scena del dare da bere agli assetati, e l’eucaristia nella scena del dare da mangiare agli affamati. I sacramenti, forza per vivere l’amore, avventura mai scontata, strada mai facile da percorrere. Si tratta di decidere, ogni volta, se l’altro è il mio inferno o se l’altro è colui senza cui non posso stare. Dov’è tuo fratello chiede Dio a Caino. Sarebbe bello saper sempre rispondere a questa domanda, è colui che non ho tolto di mezzo, è colui che scelgo di amare e di servire.
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