Domenica 6 ottobre 2024 – XXVII TOB – Marco 10,2-16
“L’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne”, “diventeranno una carne sola”. Perché due persone si mettono insieme, stanno insieme? Anche la Bibbia, come abbiamo sentito, se ne occupa e dice che l’umano non ama la solitudine, che l’umano cerca qualcuno con cui intendersi, corrispondersi. Gli altri sono presenze che colmano un vuoto, e non sia un problema dirselo. Gli altri, di fatto, assottigliano la paura che abbiamo di abitare da soli il mondo e di affrontare, da soli, quanto ci capita. Io sono colui che sono. Questo è il nome di Dio, è il nome che Dio dice di avere, lo rivela a Mosè sul monte. Tradotto: ci sono! Se fosse anche il nostro nome… Ci sono: perché tu non abbia a temere, ci sono perché tu possa fiorire senza paura, ci sono perché tu senta che puoi farcela, ci sono per arginare l’insicurezza, ci sono per infonderti coraggio, ci sono perché nessuno può presumere di bastarsi. Ci sono… e tu ci sei per me, per gli stessi e identici motivi. Possono dirselo un uomo e una donna ma può chiunque a chiunque. In ogni caso, sempre, resteremo un mistero l’uno per l’altra, nel passo di Genesi il torpore in cui cade l’adam, non l’uomo ma l’umano è segno di quel mistero. È un testo che abbiamo sempre letto in maniera non propriamente corretta. Adam non è il maschio, come erroneamente si pensa, ma l’umano. E la costola non è un pezzo del maschio per ricavarne la donna, ma il fianco, la metà, il prodotto di ciò che viene diviso perché l’uno non funziona, non basta, non è il tutto. Serve il due perché le cose inizino davvero ad ingranare. Non l’uguale ma il diverso, l’altro. Colui, direbbe ancora la Bibbia, che mi sta davanti contro. Non in opposizione, non in antagonismo ma come segno della ricchezza e della necessità del noi contro l’illusione di completezza che può abitare il cuore dell’uno che si pensa tutto. Quello che diciamo per una coppia, non necessariamente un uomo e una donna, potremmo dirlo pensando ai popoli, alle nazioni, agli uomini che abitano il mondo senza corrispondersi, uno contro l’altro, ripudiandosi. È il verbo che domina il vangelo di oggi. Ripudiarti significa spingerti indietro perché ho dimenticato che, se voglio vivere, non posso bastarmi. E allora fuori, lontano. Chi ripudia fabbrica confini perché ci sia un di là e un di qua. Tutto questo dimenticandosi che i confini in realtà sono i luoghi in cui si finisce insieme (cum finis), sono i luoghi in cui ci si incontra, dove ci si trova davanti, di fronte a qualcuno, dove guardarsi negli occhi. Il confine non come il luogo della paura della perdita ma piuttosto come lo spazio di una reciproca contaminazione, lo spazio in cui si ridefinisce ciò che siamo, perché ogni incontro ci trasforma, gli altri mi cambiano, magari in meglio. Sulle montagne sono stati dati i nomi prima ai passi e ai valichi e poi alle vette, perché quello che conta è aver nomi per chiamare i punti di incontro ben prima delle cime solitarie. Vi do un compito, cercate su youtube il video di Marco Campedelli, un prete veronese, si intitola Tra crocicchi e confini.
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