Domenica 1° dicembre 2024 – I di Avvento C – Luca 21,25-28.34-36
Che l’angoscia segni per tanti questi nostri tempi, che la paura per il futuro attanagli il cuore di grandi fette di umanità, è abbastanza evidente, non serve la fine analisi di un geopolitico. È anche vero il contrario, cioè che larga parte di uomini e donne attraversano l’oggi senza grandi affanni, senza grosse preoccupazioni, senza particolari stress. Certo, il nostro è un mondo connesso e gli effetti di ciò che capita altrove, lontano, si riverberano qui e viceversa. Del vangelo di Luca (sarà il nostro compagno di viaggio in questo che è detto l’anno C), delle righe lette, faccio fatica a comprendere l’immagine del Figlio dell’uomo che viene su una nube. Chi è e cosa arriva a fare? L’Avvento che cominciamo è l’annuncio di un nuovo incontro e di una possibile ripartenza. Chi sia il Figlio dell’uomo ci diventerà chiaro sostando domenica dopo domenica sulle pagine di questo vangelo, quello di Luca, che è conosciuto come il vangelo della misericordia che è quel rahamin ebraico, di cui abbiamo detto più e più volte: l’amore viscerale di Dio. Questo è l’amore che torna a visitarci a invaderci, a riempirci. E allora alza gli occhi per scrutarlo, vederlo, riconoscerlo. Non aggrovigliarti, non ripiegarti, non curvarti sotto il peso di salvezze fasulle. Rimettiti in piedi, alza la testa e accorgiti che cominci a respirare e a vivere se lasci spazio al germoglio che preme, se non soffochi la vita sotto terra. Siamo attraversati sicuramente dall’ispirazione al meglio, al bello, al buono, al vero. Fermiamo quell’ispirazione, catturiamola perché non si dilegui ma ci contagi la vita e ne faccia segno della stessa misericordia di Dio. Noi come lui capaci di un amore viscerale, non scioccamente emotivo, non falsamente di facciata. Mi hanno dato un po’ fastidio le luminarie che ho visto accendersi anzitempo, non tanto nei negozi o in quei luoghi in cui si vende il Natale, mi urtato vedere accesi ai balconi di alcune case, alberi di Natale e luminarie. Mi da’ l’impressione che non sappiamo dare il giusto valore al tempo che viviamo, che non siamo capaci di coltivare l’attesa, che consumiamo tutto sempre troppo in fretta, ingordamente. Qualche sociologo studiando il fenomeno, che forse è stato quest’anno più evidente che in passato, diceva che chi accende prima degli altri le sue luci sta di fatto affermando il bisogno di felicità, la fame di serenità, e la necessità di tener lontana l’angoscia. Mi auguro che le luci di cui inondiamo questo tempo dicano che siamo disposti ad accenderci anche dentro, a brillare nel profondo per imboccare da lì, dall’intimo di noi strade di liberazione, di riscatto, di riscossa. Basta un lumino per contenere la notte. Basta davvero poco perché la notte di tanti si assottigli. L’Avvento sia il tempo buono per capirlo.
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