Natale del Signore – Mercoledì 25 dicembre 2024 – Luca 2,1-14

Pubblicato da emme il

Buon Natale, è questo che ci diciamo incontrandoci. E di cosa carichiamo questo augurio, di cosa si fa tramite, al di là del fatto che sia un felice giorno? Quando ci augurano buon Natale, quando lo auguriamo ad altri diciamo di fatto: buona nascita, o, buona rinascita. Nascere è una parola che affonda le sue radici nel sanscrito e significa venire alla luce, venire al mondo, apparire, germogliare, cominciare ad essere e se volete, ricominciare ad essere. Natale è nascere, niente di più facile e niente di più difficile. Ho letto qualche giorno fa l’intervista a Paolo Cognetti, vincitore nel 2017 del premio Strega per il libro Le otto montagne, ne hanno fatto anche un film. Nell’intervista raccontava di essere reduce da un ricovero in psichiatria in seguito ad un TSO (trattamento sanitario obbligatorio). Vi riconsegno un’unica frase della lunga intervista: “Anche per me è vivere la cura per riuscire a vivere”. Ma che fatica a tratti! Ho pensato anche a Yasmine, l’undicenne della Sierra Leone trovata di notte dopo essere stata per tre giorni avvinghiata ad una camera d’aria per restare viva. Suo fratello e altri 45 partiti insieme dalla Tunisia sono stati inghiottiti dal mare. Che fatica restare vivi, che fatica ricominciare a vivere. Eppure siamo qui ad augurarci di riuscire a star dentro ai binari della vita. Un’amica mi scrive: “il Natale che desidero è una mano che stringe la mia, un abbraccio che mi avvolge”, perché di mani ne stringe poche e di abbracci ne riceve ancor meno. Ho bisogno per nascere e rinascere che altri rendano possibile che io abiti con gusto la vita. Farò così anch’io per loro. Ma il vangelo che abbiamo letto ci consegna una frase tremenda, la riscopro come non l’avessi mai sentita prima: “per loro non c’era posto nell’alloggio”. È quel “per loro” che mi fa male sentire. Se ci fossi io dentro a quel “per loro”. Per loro non c’è posto, proprio per loro. A chi non so far posto. A chi come società civile o come chiesa non siamo capaci di fare spazio, di fare largo. Credo di avervelo già detto, degli amici, tempo fa, annunciando l’arrivo di Pietro, il loro figlio, hanno scritto in un messaggio: fategli largo. Con i ragazzi delle medie ho spartito recentemente la pagina di Genesi, là dove si racconta dell’arca di Noè e di quanti, uomini e animali, vi sono saliti per restarci a lungo, almeno finchè la terra non tornasse ad essere abitabile. Abbiamo tracciato sul pavimento uno stretto perimetro con lo scothc e ad uno ad uno siamo saliti su quell’arca improvvisata cercando di far spazio a tutti, pensavamo di non starci e invece avrebbe potuto salirci sopra anche qualcun altro. Ma per stare vicini, per stare insieme, bisogna essere disposti a smussare gli angoli, a levigare gli spigoli, ad arrotondare le punte perché l’esserci di tutti domanda che io non tracimi, non trasbordi, ma che sappia anche un po’ contenermi perché ciascuno possa fiorire, germogliare, venire alla luce, cominciare o ricominciare ad essere. 


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