Commento domenicale 14/01/2024
LA STORIA DELLA “Santa Messa in latino”.
Con il Motu proprio “Traditionis custodes” Papa Francesco nel Luglio 2021 mette definitivamente fine alla libertà della celebrazione delle messe in latino celebrate col Messale del 1962 stabilendo stringenti regole e lasciando il ruolo esclusivo del Vescovo nell’autorizzare l’uso del Messale precedente alla riforma liturgica del 1970.
Scrive Papa Francesco: “Mi rattrista un uso strumentale del Missale Romanum del 1962, sempre di più caratterizzato da un rifiuto crescente non solo della riforma liturgica, ma del Concilio Vaticano II, con l’affermazione infondata e insostenibile che abbia tradito la Tradizione e la “vera Chiesa”.
Al tempo del Vaticano II la riforma liturgica suscitò aspre critiche e sorse il gruppo di Marcel Lefebvre che si separò dalla Chiesa e dopo aver ordinato il primo vescovo, senza l’approvazione del papa, provocò di fatto la scomunica e lo scisma. In un estremo tentativo di riavvicinare anche questi fedeli Giovanni Paolo II e ancor più Benedetto XVI avevano sperato, nel rispetto delle varie sensibilità liturgiche con un’apertura alla “messa in latino”, di riassorbire lo scisma dei lefebvriani.
Ma come era la messa prima del Vaticano II ?
Prima della riforma liturgica operata dal Vaticano II la Messa era caratterizzata da una marcata passività, considerata azione del sacerdote alla quali i fedeli assistevano come estranei o muti spettatori, era celebrata in latino, che da secoli non era più la lingua comune “volgare” e quindi incomprensibile alla stragrande maggioranza dei fedeli, e a bassa voce, col sacerdote che volgeva le spalle al popolo. Il sacro silenzio era intervallato da alcuni canti devozionali o dalla recita del rosario, durante la “liturgia della Parola” (in latino) venivano recitate le preghiere del mattino. Il silenzio veniva poi interrotto col suono del campanello per consentire ai fedeli di guardare l’ostia e il calice in muta adorazione o recitando qualche giaculatoria.
La spiritualità era tutta personale e la grazia “ex opere operato” ossia in forza della celebrazione stessa del rito.
“Ora dietro la sola “messa in latino” non c’è nessuna eresia, anche oggi se autorizzata si celebra, (radio vaticana ne trasmette una la mattina) ma c’è il rischio che tutto ciò diventi, agli occhi di chi privilegia questo modo di celebrare la messa, un tacito rifiuto del cambiamento della Chiesa e del modo di essere cristiani.
Dio è entrato nella storia degli uomini e questo rende la religione cristiana diversissima da quelle che cercano la divinità in una immutabile eternità fuori del tempo o quelle altre che si ispirano agli altrettanto immutabili cicli della natura. Facendosi uomo, il Verbo divino ha accettato di condividere la storicità degli esseri umani, che restano sé stessi solo nel continuo cambiamento. Voler fermare questo dinamismo, immobilizzandolo in una sua fase, ritenuta intoccabile, è la negazione di questa assunzione della storia da parte di Dio.
Non si nega, ovviamente, che vi debba essere una continuità, pur nel mutamento. Non è il Vangelo che cambia, ma la comprensione che i cristiani nel corso del tempo ne acquisiscono, sotto la spinta delle nuove situazioni storiche e delle domande sempre nuove che esse pongono ai credenti. Per questo c’è un progressivo sviluppo perfino dei dogmi e, a maggior ragione, dell’etica personale e pubblica. Di questi sviluppi sono un riflesso anche il mutamento della liturgia, che i nostalgici scambiano per un tradimento, ma che sono invece l’unico modo di essere veramente fedeli al carattere storico, e perciò dinamico, della Rivelazione. La fedeltà alla tradizione non è il mantenimento di un passato imbalsamato, rifiutando il nuovo, ma la capacità di leggere, alla luce del passato, il dinamismo del presente verso il futuro. Questo, con fatica, sta facendo la Chiesa di oggi.“
(Dal sito della Pastorale della cultura dell’Arcidiocesi di Palermo.)
Buona domenica
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