Domenica 10 novembre 2024 – XXXII TOB – Marco 12,38-44

Pubblicato da emme il

Il “non temere” di Elia alla vedova di Sarepta, detto e ridetto nella storia di sempre da tanti altri uomini, ma senza scrupoli, ha di fatto mietuto infinite vittime. Crederci ne ha fregati tanti. La vittoria di Trump negli Stati Uniti ha prodotto, nel mercato borsistico, 63 miliardi di dollari, 13 solo a vantaggio di Elon Musk. Promesse che producono vantaggi, ma per chi? Quali promesse sono ancora credibili, a quale speranza ha ancora senso affidarsi? Le promesse fatte da uomini e donne che mettono in gioco la loro vita e non la vita delle persone di cui invece, subdolamente o più sfacciatamente, ci si prende gioco. La speranza che alimenta chi sta al mondo in perdita e non pensando al mondo come un affare per ingrassare i propri interessi o oliare i meccanismi che allargano i propri vantaggi. Allora, io al mondo come ci sto? Alimentando speranze o dilatando il baratro della disperazione? La vedova di Sarepta e l’altra vedova del vangelo in chi confidano? In Dio? Io vorrei poter confidare nell’uomo che, in nome di Dio, non si fa beffe dell’uomo. E io sono quell’uomo di cui ci si può fidare? La vedova del vangelo è l’immagine limpida, chiara del Cristo che si affaccia alla sua Passione dandosi, affidandosi, al Padre. Sulla croce, nel vangelo di Marco, Gesù pronuncia un’unica parola disperata: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Teme di essere lasciato in balia della sua sorte. Dio risponde? E gli uomini in quell’ora tragica dove sono finiti? Il vangelo racconta solo di donne che da lontano osservano quanto capita e poi che arrivata sera solo un uomo, Giuseppe d’Arimatea si fa avanti per reclamare il corpo di Gesù e garantirgli così una degna sepoltura. Mi verrebbe la tentazione di dire che se l’uomo non c’è non c’è neppure Dio, non può esserci. Parliamo sempre più di un mondo senza Dio ma forse è senza Dio perché è un mondo senza l’uomo, chiaro, l’uomo di un certo spessore, l’uomo di qualità. Robert Musil scriveva L’uomo senza qualità il cui protagonista Ulrich è come immerso in un antiumanesimo. La vedova, Gesù, di cui è l’immagine, decide di scommettere, di fidarsi, e getta nel tesoro tutto. Mette in gioco l’interezza di sé perché il meccanismo malato guarisca, perché l’ingranaggio inverta la sua rotta. Come si fa se non così? Le cose cambiano, si convertono se decido di giocarmi fino in fondo, completamente, credendo che ha senso donarsi, spendersi contro la tentazione di limitarsi a mettere in campo le briciole di sé, il superfluo, gli avanzi, gli scarti. La vedova getta tutto. Gettare tutto per una certa logica è perdere tutto, per la logica del vangelo è piuttosto tutto guadagnare. “Chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà”.


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