Domenica 13 febbraio 2022 – VI TOC – Luca 6,17.20-26

Pubblicato da emme il

Non so se ve ne ricordate ma lo stesso discorso sulle beatitudini lo fa anche Matteo in apertura al capitolo 5 del suo vangelo. Ci sono delle differenze, qui quattro beatitudini a cui seguono quattro guai, là otto beatitudini; qui il discorso Gesù lo tiene in luogo pianeggiante, là il discorso lo fa sulle pendici di un monte. Questa differenza geografica può dirci qualcosa? Probabilmente il fatto che non si tratta di un discorso da relegare nella sfera dell’intimo, non si tratta di un messaggio a cui basta lenire le ferite interiori o far cullare la recondita speranza di un riscatto futuro. Mi pare che il testo di Luca sia più decisamente, più ferinamente politico. In Matteo parla ad un manipolo di discepoli che sembrano staccarsi dalla folla che lo sta pedinando, qui in Luca i discepoli diventano una folla di discepoli e il discorso è indirizzato a loro ma anche a quella moltitudine di gente che arriva da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e Sidone. Sembra un comizio quello a cui sta dando inizio il Maestro, più che un ritiro spirituale. E questo vorrei dirlo anche in risposta a tutti coloro che pensano al vangelo come ad un’innocua carezza, come ad un fervorino spirituale, come ad una leggera ammonizione per l’anima. Tutt’altro. Il vangelo è politico e va affermato contro tutti coloro che vorrebbero relegarlo nelle sacrestie, vorrebbero imbavagliarlo, vorrebbero ammutolirlo quando risulta scomodo, vorrebbero spegnerne la carica profetica. Il vangelo non è per l’anima, è piuttosto per la vita, per la sua promozione, per il progresso umano, per la rimozione di ciò che causa inaccettabili differenze fra uomo e uomo. E se il vangelo si schiera, il brano di oggi lo afferma chiaramente, è fuori dubbio che deluderà qualcuno. È di Dom Hélder Câmara, vescovo brasiliano, questa celebre frase: “Quando io do da mangiare a un povero, tutti mi chiamano santo. Ma quando chiedo perché i poveri non hanno cibo, allora tutti mi chiamano comunista”. Capita spesso a chi tocca temi sensibili, che infastidiscono certi orecchi, di sentirsi appiccicata addosso un’etichetta che alla fine squalifica il vangelo e chi l’annuncia. Ma il vangelo di fatto scardina certe idee, denuncia certi illeciti interessi. Anche Papa Francesco nel Discorso ai partecipanti all’incontro mondiale dei Movimenti Popolari nel 2014 affermava: “E’ strano, ma se parlo di… terra, casa e lavoro… per alcuni il Papa è comunista”. Ma allora il vangelo è di destra o di sinistra? Le buone notizie hanno un colore? Non dovrebbero averlo, credo. È vero che se affonda un barcone nel Mediterraneo per qualcuno questa è una buona notizia, ma qui è difficile pensare di aprire strade. Oppure lo sterminio degli ebrei è di sinistra e le foibe di destra, quasi che si potessero colorare i drammi? Vorrei saper riconoscere le buone notizie anche laddove mandassero all’aria quegli schemi sicuri, quelle salde posizioni, in cui mi ero messo al sicuro magari in barba alla fatica, alla disperazione, al dolore di tanti.


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