Domenica 15 settembre 2024 – XXIV TOB – Marco 8,27-35
Tu sei il Cristo, afferma Pietro, in risposta alla domanda di Gesù: “Ma voi, chi dite che io sia?”. Gesù per sé userà un altro titolo: “Figlio dell’uomo”. Non è affatto semplice addentrarci nel suo significato. Nel libro del profeta Ezechiele il titolo rimanda all’umanità dell’uomo: Gesù è uomo come ogni uomo. Ma nel libro del profeta Daniele il titolo evoca prerogative che sono solo di Dio. A questo punto chi è Gesù? Il vulnerabile o l’invincibile? Gesù, in questo che, nel vangelo di Marco, è il primo dei tre annunci della Passione, annuncia per sé sofferenza, rifiuto, morte. Niente di così diverso rispetto a ciò segna la vita di tutti e per la forma tragica in cui si risolve quella di Gesù, niente di così diverso da come finiscono certe esistenze profetiche. La croce è l’emblema dell’umano. La croce è ciò che non puoi rinnegare per non rinnegare ciò che sei costitutivamente: fragilità, limite, transitorietà, corruttibilità. Gesù rimprovera Pietro perché come il primo uomo, come l’uomo di sempre, non accetta la sua condizione, non riesce a fare i conti con la provvisorietà che lo segna. Demoniaco è quel: “sarete come Dio”, promessa illusoria che il serpente fa all’uomo di ieri e di oggi. Non siamo Dio, anche se ci piacerebbe esserlo, anche se facciamo di tutto per spacciarci come padreterni, anche se siamo spesso arroganti e superbe presenze nella scena del mondo. “Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”. Gli uomini cosa pensano? Pensano che la vita va salvata afferrandola, accaparrandola, stringendola, rubandola e di conseguenza limitando, comprimendo, depauperando quella degli altri. Ma così la perdi. Dio pensa altro. La vita la trovi e la tieni nel momento in cui non è un pugno chiuso ma una mano aperta, un’esistenza esposta al rischio di essere sprecata, consumata. Sono due diverse visioni e due diversi modi di stare al mondo. Gesù è il Figlio dell’uomo che diventa Cristo per come vive. Gesù è il Figlio dell’uomo che transita nella morte come ogni uomo, che come ogni uomo patisce, ma è anche il Cristo che risorge perché la vita rivisita chi, la vita, per donarla è disposto a perderla. Scrive Ermes Ronchi: “Quando sono vero sono debole. Quando siamo veri siamo tutti feriti. Ma quando sono debole è allora che sono forte, perché entra in me il vasaio che mi rimette sul tornio e fa dei miei cocci un canale per altre seti”.
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