Domenica 16 febbraio 2025 – VI TOC – Luca 6,17.20-26

Pubblicato da emme il

Guai, io (che sono un po’ viscerale) partirei da qui per scagliarmi con foga contro coloro che impoveriscono il mondo, contro chi si riempie le tasche svuotandole agli altri, contro chi ruba il sorriso dalla faccia dei popoli, contro chi la fa sempre franca e non la paga mai. Guai, e sciorinerei un rosario di nomi altisonanti, di quelli che riempiono le pagine dei giornali o intasano il web. Ma guai anche a te anonimo e insignificante uomo qualunque che per te vuoi di più, sempre di più. Guai a te che non coltivi il dentro perché ti basta mostrare la pelle. Guai a te che tieni in piedi rapporti di convenienza e non ti comprometti con la sorte di nessuno. Guai a te che se si tratta di far soldi non ti domandi il tasso di eticità delle tue scelte. Guai a te che non ti accorgi dei poveri e non metti in conto di spartire con loro un po’ del tuo. Guai a te che ti lamenti dei servizi e poi evadi le tasse. Guai a te che vuoi un mondo sano e poi non paghi il prezzo dei tuoi ideali. Guai a te che sbandieri i tuoi principi evoluti e poi sfoderi razzismo, omofobia, abilismo. Guai a te che trasformi la religione in moralismi che ingabbiano la vita di altri. Guai! Io partirei da qui e Gesù, che a quel guai (di cui c’è traccia in Luca ma non in Matteo) comunque arriva, parte invece dal beati… i poveri, gli affamati, i piangenti, i perseguitati. Beati voi perché non siete voi il problema del mondo, scrive Ermes Ronchi. Beati voi perché non vi siete sbagliati come coloro sui quali Gesù pronuncia quello sconsolato guai. Beati, perché se siete poveri, è perché non avete rubato la dignità a qualcun altro. Beati, perché se avete fame, è perché avete spartito e condiviso quello che avete scelto di non difendere. Beati, perché se piangete, è perché avete fatto largo al patire degli altri. Beati, perché se siete perseguitati, è perché vi siete battuti per le istanze di giustizia gridate dai diseredati. Come altre volte ho cercato l’etimologia di guaio. Ne esce che viene dal germanico wawa. Non è il pianto dei bambini? Se dovessimo imitarlo ne uscirebbe proprio questa parola. Gesù non maledice ma piange, piange su chi, come leggiamo dal profeta Geremia, confida in se stesso, nella propria carne, che di fatto è costitutivamente limite. Ma confidare in Dio cosa significa? Io vorrei poter confidare nell’uomo perché credo nell’uomo e vorrei poter credere in me. Confidare in Dio, non vorrei fosse l’unica obbligata alternativa a cui aggrapparsi perché l’uomo è inaffidabile, inconsistente, inattendibile. Dio il rifugio quando è necessario scappare dall’uomo, difendersi dall’uomo. Ma Dio è quel Gesù da cui non scappi, da cui non ti difendi, da cui non ti guardi. Dio è quel Gesù che è segno di un umano rinnovabile, rieditabile, riproponibile. L’ho citata mille volte la frase di Turoldo: di umanità nuova, mai apparsa ancora siate il segno, il glorioso annuncio.


0 commenti

Lascia un commento

Segnaposto per l'avatar

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *