Domenica 16 marzo 2025 – II di Quaresima C – Luca 9,28b-36

Pubblicato da emme il

Pregare è chiedere. E chiede chi non ha. Chiede chi da solo non ce la fa. Chiede chi non si basta. La preghiera è spesso accompagnata dal gesto dell’allargare le braccia tenendo le mani aperte, come fosse una resa, come fossimo disarmati, esposti all’altro, in balia di chi può. Chi mostra le mani aperte non ha niente da nascondere, è come si mettesse a nudo. Pregare è fare i conti con la nostra precarietà. Anche Gesù prega e pregando cambia. Chi prega cambia. Chi prega fa dilagare in sé l’idea di piccolezza, chi prega fa largo alla modestia, all’umiltà e l’umile è colui che non ha niente da difendere, è colui a cui il cambiamento non pesa, perché non ha nulla da perdere. Mentre anche Gesù prende coscienza di sé, del suo niente, affiora da lui la parte più luminosa, l’elemento incandescente, la bellezza di ciò che è. Il dentro viene fuori, e se non fosse la parte migliore di noi è sicuramente la più vera. I tre che Gesù ha condotto con sé sul monte sono immersi in un sonno pesante. Il sonno in cui sono imbrigliati fa pensare che quanto sta succedendo non li riguardi. Ma finalmente si svegliano e forse iniziano a percepire che quanto capita c’entra anche con loro, li riguarda. Il sonno li anestetizza ma pare essere la condizione a cui si abbandonano tante vite. Riposiamo pigramente in un’immagine rassicurante di noi stessi, in quel noi opaco che maschera, e forse difende, la bellezza fragile del noi più vero. Gesù è in esodo, di questo parlano con lui Mosè ed Elia. Gesù è in cammino e si cammina per cambiare. È il senso del cammino di Abramo, ma è un cammino verso il dentro, più che verso un altrove. Come il cammino di Gesù, anche il suo, più che un cammino verso l’alto, è un cammino verso il profondo. Esci dalla tua terra, va, dice Dio ad Abramo. L’ebraico è lech lechà, più precisamente: va verso te stesso, verso il tuo dentro e cercati, trovati. Questo viaggio ti riguarda perché può essere il tuo, quello a cui anche tu sei chiamato. Svegliati dunque e ascolta la Parola che incoraggia e apre cammini. Ascolta, come Abramo, perché anche la notte sia abitata da una parola che ti tiene compagnia e come stella non fa naufragare la vita. Chi prega elemosina parole che costellino il proprio cielo, parole che segnino la rotta, parole che si sostituiscono a quelle senza senso che ci capita di dire. E quando arriva il silenzio, l’assenza di parole, finalmente, quell’unica parola detta su di noi, per noi, può riverberare, può far eco e generare, rimbalzandoci dentro, il cambiamento, la novità. La cosa più nuova è ciò che siamo nelle viscere di noi. Ciò che forse, per pudore, per paura, continuiamo a nascondere. La parola che piove dal cielo è la parola che dice… sei amato. Sei amato, punto. Ed è questa la premessa necessaria per liberare il vero di noi. È questa la parola che permette a ciascuno di dire ciò che è. Se sei amato, puoi essere ciò che sei, senza paura.


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