Domenica 19 febbraio 2023 – VII TOA – Matteo 5,38-48

Pubblicato da emme il

Potremmo anche non essere bravi in matematica ma ditemi se nella vita non siamo bravi a far pareggiare i conti? Uno pari! Ma non è risultato di una partita a pallone, è la contabilità spietata con cui regoliamo certe relazioni, non tutte, almeno me lo auguro. Anch’io come tanti, adolescenti in particolare, non ho perso una puntata della serie Mare fuori. La faccio breve, è ambientata nel carcere minorile di Napoli. La fauna umana lì detenuta è abbastanza variegata, c’è un po’ di tutto, tutto l’immaginabile del vissuto di giovani che crescono in una città difficile è esasperatamente rappresentato. Ma c’è anche chi come Carmine, detto o piecura, impara, dentro un cammino di reale conversione, a rispondere in modo diverso alla vita. Il nomignolo è emblematico: la pecora, animale che, nell’immaginario di tutti, non reagisce al male che lo raggiunge. Carmine, come il servo sofferente di Isaia, non lascia spazio alle logiche della ritorsione, della vendetta, della rivalsa. Incontrare quel personaggio è come imbattersi in una pagina di vangelo, quella che abbiamo appena letto. Possiamo armarci contro l’avversario per difenderci o possiamo disarmarlo per non dargli il pretesto di ingigantire la faccenda, di trascinarla oltre ogni ragionevolezza, non armandoci. Al summit di Monaco Macron ha detto che con la Russia di Putin non è più tempo per il dialogo. Ma ce n’è forse stato finora di dialogo? Gli stati non potrebbero insieme decidere di disarmare il nemico disarmandosi. In questa settimana a messa abbiamo letto alcuni stralci degli inizi del libro di Genesi, anche quello in cui si parla di Caino e Abele e dell’uccisione di quest’ultimo. È curioso notare che nel montare della rabbia di Caino nei confronti del fratello ad un certo punto, dopo che Dio l’ha messo in guardia e gli ha suggerito di tenere a bada il peccato che è come una belva accovacciata dietro la tua porta pronta a sferrare un attacco, si dica che Caino parlò al fratello Abele. Ma in realtà il testo non riporta nessun dialogo. Forse non si sono detti proprio nulla e la violenza fratricida ha preso il sopravvento sulle parole che potevano risanare, guarire, quella relazione ferita. Odiare e amare, le alternative possibili dentro mille sfumature. Odiare significa tener fuori dalla propria vita, allontanare, che è come negare l’esistenza a qualcuno. Amare significa invece desiderare, attrarre a sé, proprio il contrario di respingere, di tenere fuori, distante. Il cristiano è colui che affronta il rischio di una vicinanza. Amare non è armare la vita, ma piuttosto disarmarla, è disinnescare ogni ordigno del cuore. Odiare dicevo è tenere l’altro distante perché la sua vicinanza, la sua prossimità rischia di farci piccoli, di annullarci. L’odio è il modo con cui difendiamo il nostro spazio e rispondiamo al rischio di farci rimpicciolire. Ama chi non ha bisogno di esibire la sua forza, la sua grandezza. Il sapiente ama perché non teme nulla, lo stolto odia, ha paura di non essere qualcuno.


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