Domenica 20 ottobre 2024 – XXIX TOB – Marco 10,35-45
Giovanni e Giacomo, insieme ad Andrea e Pietro sono tra i primi chiamati, eppure non sembra rappresentare un vantaggio sugli altri rispetto alla comprensione circa l’identità e la missione di colui al cui seguito si son messi. E noi, che ci siamo fin dall’inizio, fin da subito, da sempre, perché ci stiamo? I due fratelli sfoderano in questo passaggio di Marco tutta la loro faccia tosta, potremmo chiamarla anche presunzione o arroganza. Chi sono loro rispetto agli altri? I quali non tarderanno, abbiamo sentito, a fare le loro rimostranze: “Cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni”. Sono di più, almeno questo credono, e lo rivendicano. Il fatto è che quando tu rivendichi qualcosa per te lo fai pesare su qualcun altro, qualcun altro subisce la tua tracotanza. Ermes Ronchi nel commento al vangelo che riportiamo nel foglietto settimanale riconsegna una frase di Turoldo: “Essere sopra l’altro è la massima distanza possibile dall’altro”. Chiedere a Dio la gloria significa non capire con che Dio abbiamo a che fare. “Il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire”. Mettiamocela via, se ci stiamo sia per questo, non per altro, non per approfittarne, non per spadroneggiare, non per trovare una posizione. “Tra voi però non è così”. Quel però dice che può essere così per gli altri, non per noi, non per chi decide di stare in cammino dietro a Gesù, non per chi ha il vangelo come barra che tiene la rotta. E se altrove capita non possiamo esimerci dal compito di denunciarlo, di contrastarlo, di trasformarlo. Posso dire che dominare e opprimere non sono i verbi con cui declinare la propria esistenza e di conseguenza l’esistenza degli altri a cui faccio patire la mia malata esuberanza. Imbattermi in questa pagina mi costringe a confrontarmi con i macro eventi, tanti di segno negativo, che punteggiano l’oggi del mondo, le guerre, la gestione dei migranti, la spartizione del potere in politica ma sarebbe un errore non ammettere che le dinamiche di prepotenza gravano sui rapporti più quotidiani e inquinano le relazioni più prossime. Dominio e oppressione governano, più del servire, i giorni che scorrono dentro i confini dell’ordinario. L’altro è sempre intralcio alla sete di primeggiare, di sovrastare. L’altro pezzo della frase di Turoldo recita così: “Dio si pone alla massima vicinanza dell’altro: ai suoi piedi”. Ma a chi piace stare sotto? A chi piace soccombere? A chi piace sparire? Il calice da bere e il battesimo da ricevere a cui fa cenno Gesù nel vangelo sono il velato, ma neanche troppo, riferimento ad una vita condotta su binari diversi, con criteri altri. I discepoli sposano questa alternativa che li mette sotto, in basso, ai piedi. Si può scegliere altro ma allora il vangelo non è più affar nostro.
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