Domenica 21 luglio 2024 – XVI TOB – Marco 6,30-34

Pubblicato da emme il

Il tono fermo e perentorio di una settimana fa lascia spazio a parole diverse e a un modo di fare decisamente più morbido e tenero. Gli apostoli rientrano dalla missione e ritrovano un Gesù altro, non ha ordini da impartire. Accoglie, ascolta, risponde ai bisogni più immediati, riposare e mangiare. La vita spesso è prestazioni continue, performance spettacolari, risultati da esibire. Il livello da tenere, nei più disparati ambiti, professionale, sociale, sportivo… ma potremmo allungare l’elenco, è sempre altissimo e tutto questo risulta, alla lunga, davvero sfiancante. Non siamo mai abbastanza tanto che al di là di quel che riusciamo a fare dobbiamo mostrare ben di più, e in questo i social ci sono complici, là dove non arrivi ci pensa quel che mostri di te, ma che di fatto non è. Anche nella chiesa ci si pensa spesso a partire dall’efficienza di un ruolo o si domanda a chi collabora uno sforzo di impegno, di tempo, di abilità che non sempre sono ripagati da una tregua che serva a ritemprarsi, a riconoscere i risultati, a curare qualche ferita. Il rischio è quello di non essere mai soddisfatti e di non accettare di fatto la realtà, non con rassegnazione ma con lucida consapevolezza, quella che può aiutare ad aggiustare eventualmente la rotta, a ricalibrare il tiro anziché perpetuare modelli, per non ostinarsi a tenere vivo un sistema ormai alla deriva. Serve, è necessario, direi indispensabile, sostare in qualche oasi per la rigenerazione delle motivazioni, dell’energia, dell’ispirazione. Non possiamo essere spremuti e non possiamo spremere gli altri. La parola attorno a cui ruotano tutte le altre in questo pezzetto di vangelo estivo è la parola compassione. È la compassione per i suoi ed è la compassione per tutti gli altri che alla spicciolata rifanno cerchio attorno a lui, attorno a loro. Lo sanno tutti ormai perchè lo si dice spesso, ma è davvero sempre emozionante ricordare l’origine fisica di questa parola. L’ebraico rahamim indica immediatamente non un sentimento ma una parte del corpo… le viscere, le parti molli, tenere del nostro dentro. Tessuti di noi per dire che relazioni possiamo tessere fra noi. La compassione contro ogni moto di granitica durezza, di opposizione aspra, di acido rifiuto. La compassione per renderci abbordabili, per lasciarci raggiungere, avvicinare. Il Dio di Gesù è un Dio che ha utero di misericordia si dice. Sulla scena del mondo noi cosa offriamo, l’irriducibilità delle nostre posizioni o il calore della nostra prossimità accogliente? Chiediamocelo come singoli e come chiesa. È chiaro che avremo più fastidi, saremo per un verso il facile bersaglio dei troppi talebani cattolici, ma per l’altro saremo cercati e raggiunti da chi ha potuto far riposare la vita adagiandola sulle sponde morbide del nostro cuore.


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