Domenica 22 novembre 2020 – Cristo Re – Matteo 25,31-46
Quanto sto bene quando sono appagato nei miei bisogni perché qualcuno si accorge di me. Gli altri mi sono indispensabili perché non basta esistere, bisogna esistere per qualcuno. Risponderti nel bisogno è dirti: mi sono accorto di te. Forse non è del tutto sbagliato rilevare che alcune necessità di ordine fisico, materiale, concreto possono esprimere un’urgenza più radicale, un’esigenza ben più profonda cioè costringerti ad aprire gli occhi su di me. E figuriamoci se non sia ancor più vero quando non elemosiniamo benessere psichico o spirituale bensì la vita stessa che è tale quando non è esposta al rischio di soccombere perché privata del reale necessario. È certo doloroso aver l’impressione di non stare al centro della considerazione di qualcuno che non appaga la mia anima ma immagino sia ancor più lacerante essere ignorato rispetto a quell’essenziale che se c’è mi permette di esistere, se non c’è mi fa morire: il cibo, una casa, una terra, le cure. Eppure questo non è assicurato a tutti, neppure in Italia dove si contano oggi cinque milioni di poveri assoluti. Io pretendo, e giustamente, la considerazione che merito semplicemente per il fatto che esisto ma guai a dimenticare che per qualcuno, e sono tanti, il diritto di esistere non è garantito affatto. Per capirlo devo necessariamente partire dai bisogni miei per rendermi conto che nelle vene degli altri scorrono gli stessi desideri, le stesse speranze, le medesime aspettative, le stesse aspirazioni. Il pastore che ci descrive Ezechiele è quel Dio capace di occhi e di cuore per ciascuna delle sue pecore, la malconcia e la florida. Tornando alla pagina del vangelo che chiude l’anno liturgico, la parola che più mi conquista stavolta è una parola severa e spaventosa: separerà. Il Figlio dell’uomo separerà gli uni dagli altri. Chi da chi? Separerà chi aveva occhi e non li ha aperti, aveva cuore e non l’ha spalancato, aveva mezzi e non li ha usati, da chi attendeva sulla soglia come il povero Lazzaro ma ha ricevuto solo indifferenza. Separare, ci insegna bene quella pagina di vangelo, è operazione che l’uomo già compie quando traccia un solco fra chi ha e chi non ha, fra chi può e chi non può e permette che diventi qui sempre più profondo. L’uomo che ha e che può non si accorge che quell’abisso lo separa dalla vita nel tentativo di garantirsela rigogliosa per se stesso ignorando l’indigenza di altri. A mio avviso abbiamo il dovere morale di curare innanzitutto le nostre idee. Ma dove le alimentiamo, a quale sorgente le attingiamo? L’umano che mi abita è squalificato quando l’umano di tutti non è nutrito, vestito, curato, accolto, compreso. In tanti ragioniamo con la pancia se non addirittura con i piedi e la disumanità ci invade il cuore fino ad anestetizzarlo, fino a sclerotizzarlo, fino a renderlo un organo che pompa più odio che amore, più giudizi che comprensione, più divisione che comunione. Il vangelo ce lo guarisca.
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