Domenica 23 marzo 2025 – III di Quaresima C – Luca 13,1-9
Perché non fa frutti quel fico? Eppure il fico è una pianta cocciuta, attecchisce e resiste nei luoghi più improbabili. Di vite in preda alla sterilità ce ne sono tante. Perché? Forse non si applicano a sufficienza? Tre anni di niente, sono tanti. E quando non sono anche di più. In chi guarda da fuori, queste mezze vite, cosa cresce? Forse rabbia, sconforto, delusione, giudizio… E in chi ci sta dentro, a queste vite incompiute? Senso di colpa, avvilimento, senso di inadeguatezza, di sconfitta. Qual è la cura? Qual è la soluzione, la via di uscita? Pianti e speri, attendi, desideri. Ma quanta frustrazione se i frutti non arrivano. Tre anni e non matura nulla. Ma sono tanti tre anni? Se invece fossero pochi? Pare, per fare una rapida incursione nella botanica, che i primi frutti arrivino dopo 4/5 anni di vita della pianta. E allora tre anni non sono troppi! Bisogna avere ancora un po’ di pazienza, non si possono avanzare pretese assurde, non si può peccare di impazienza, non si possono forzare i tempi. Devono maturare le giuste condizioni. È per questo che il vignaiolo domanda al proprietario del campo di non essere precipitoso e lo invita a non usare soltanto criteri economici per fare le sue valutazioni, ad andare oltre l’idea di convenienza, di utile, di tornaconto. “Perché deve sfruttare il terreno?”, domanda il proprietario del campo. Chi sta sfruttando chi? Anche pretendere ciò che non si può pretendere è in fin dei conti sfruttare. Quante volte rispetto alle persone ragioniamo usando gli stessi identici criteri. È la cura a far maturare un frutto. È il tempo, la passione, la dedizione che ci metti a poterti offrire il lusso di sperare. Il vignaiolo scommette ma coinvolgendosi, mettendosi in gioco. “Taglialo”, ingiunge al vignaiolo il proprietario del campo, seccato, indispettito, contrariato. Il vignaiolo che mette in campo la sua competenza, una competenza umana più che botanica, mette sul piatto la prospettiva di un percorso di cura. Non basta piantare! Alla fine si vedrà, ma la cosa sorprendente è che il vignaiolo dice al padrone del campo… “lo taglierai”, cioè non sarà lui, il vignaiolo, ad assumersi la responsabilità di quel gesto estremo, perentorio, definitivo. Se vorrai lo farai tu e io non ne sarò certo il complice. È come dire: io spero ad oltranza, io non mi arrendo, io alimento la fiducia, io amo cocciutamente finchè tu, che sei l’oggetto di questa cura, possa accorgertene, ma amo anche in perdita, accettando il rischio che tu non te ne avveda affatto. È capitato anche a noi di non esserci accorti di quanto siamo stati amati, è capitato anche a noi di aver buttato alle ortiche la fatica di qualcun altro, è capitato anche a noi di aver deluso qualcuno. Taglialo, se vuoi. Io non lo farò. “Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio” (Efesini 5,2), leggiamo da Efesini. Gesù è il vignaiolo che ci ha amati offrendosi al duro lavoro di provare a coltivarci pur di non tagliarci, ma opponendosi al taglio del fico si dimostra disponibile a essere tagliato lui stesso al posto nostro… proprio come è avvenuto con la sua morte in croce.
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