Domenica 24 maggio 2020 – Ascensione del Signore – Matteo 28,16-20
Introduzione
Cosa ci riporta qui?
Lo sprezzo del pericolo? Assembrarci, certo adeguatamente protetti, è ancora un rischio.
E allora? Sono forse la devozione, la tradizione, il senso religioso? Potrebbe bastare?
Pur a digiuno di questo appuntamento, siamo rimasti cristiani, immagino…
E allora, che ci facciamo qui?
Mentre scrivo queste note me lo domando… e sento che la risposta emerge a fatica… perché vorrei non fosse scontata.
La Parola di Dio che torniamo ad ascoltare, ma insieme, il pane dell’eucarestia che torniamo a spezzare, ma solo perché sia condiviso, sono quella benzina che deve aiutarci ad essere comunità, certo non chiusa, non blindata, che abita il mondo e le relazioni fecondandoli col vangelo.
Non siamo qui per rimettere il naso all’insù, come sentiremo negli Atti. Oggi, se qualcuno non ce l’avesse presente, si celebra l’Ascensione del Signore. Siamo qui per dirci che dove siamo stati finora bisogna tornare, da lì non si scappa, lì si sta, perché lì il Risorto ci rispedisce, come nella Galilea dei suoi.
“Essa è il corpo di lui”. Paolo, che sta scrivendo agli Efesini, si riferisce alla comunità dei credenti. Mi piace questa immagine. Noi chiesa, siamo il corpo di Cristo. Veniamo qui per riceverlo e ci vien detto che quel corpo siamo noi. Interessante! Noi presenza di lui, segno del suo esserci, evidenza di lui e sua concretizzazione. E l’Ascensione, la festa di oggi, è l’evento che realizza questo passaggio. Il Figlio di Dio che si fa corpo ci passa il testimone e ci domanda di essere corpo. Quel corpo che può sì anche essere ingombrante, intralciante (la chiesa è anche questo), un corpo che, pur con tutti i suoi limiti, può essere però veicolo di quell’umano straordinario che Gesù ha magistralmente interpretato. Allora sentiamoci scritturati anche noi per calcare lo stesso palco e giocare la stessa parte con altrettanta maestria. Ieri (venerdì) un anziano signore di San Zeno incrociandoci ha inserito nelle poche parole che ci siamo scambiati l’usurata frase: “Speriamo che Dio guardi in giù”, a commento della stagione faticosa che stiamo vivendo. Ciò che sappiamo è che gli angeli, nel racconto dell’Ascensione riportato dagli Atti, chiedono agli apostoli rapiti, quasi in estasi, di distogliere lo sguardo dal cielo per riposarlo su quella terra che domanda il loro impegno, la loro testimonianza: “di me sarete testimoni” abbiamo letto ancora in Atti. Certo, sapere che Dio dal cielo scruta la terra e osserva quanto ci capita, non mi disturba. Ciò che non può succedere è che l’uomo viva rapito dal cielo e non abbia occhi per quei corpi che sono segno di lui e ne rivelano la presenza. “Per non stare coi piedi per terra li poggiamo sulle comode nuvole” ho recentemente letto in un breve trafiletto. Da cosa scappare? Da noi? Dagli altri? Lui si sottrae ai nostri sguardi, scompare dalla nostra vista e ci obbliga, ci costringe a posare gli occhi su tutto ciò che troviamo ad altezza d’uomo. Mi viene in mente la scena dei due di Emmaus. A tavola riconoscono che colui che ha fatto loro compagnia lungo il viaggio è proprio Gesù, in un corpo che si spezza. Ma poi lui scompare quasi simultaneamente al suo spezzarsi. Cosa resta? Il corpo di quei due e gli occhi per guardarsi, per riconoscersi a loro volta, per sentirsi fatti anch’essi di un corpo chiamato a darsi, a consegnarsi in testimonianza che riaccenda speranza. In effetti ripartono da lì senza indugio per tornare da dove erano venuti e raccontare di un corpo non più morto, vivo più che mai. Proprio ieri, leggendo il giornale mi imbattevo nella lettera indirizzata al giornalista che segue una rubrica: “Nessuno più ti saluta per strada, anzi spesso, incontrandoti cambia marciapiede, si nasconde meglio sotto la “mascherina”, sostanzialmente, per una ancestrale paura del contagio, non vuole riconoscere in te niente di positivo, ma solo il pericolo”. Ricordiamoci che siamo corpo, perfino corpo di Cristo, e i corpi, mascherati o no, restano, per fortuna ingombranti. Gesù non ne ha evitato nessuno (neppure il suo), li ha incontrati tutti. Ha avuto occhi perfino per quelli che si nascondevano fra le fronde di un sicomoro.
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