Domenica 25 agosto 2024 – XXI TOB – Giovanni 6,60-69
Finalmente finisce questo lungo capitolo 6 di Giovanni che abbiamo letto quasi integralmente nel corso di cinque domeniche. Finalmente! Perché come dicono i discepoli di Gesù questa parola è dura e difficile da ascoltare. Sono andato a rileggermelo il capitolo, cosa c’è di così indigeribile? È difficile accettare di farsi coinvolgere dal bisogno degli altri, sarebbe più semplice starne fuori, non c’entrarci. È difficile restare umili e non montare in superbia quando la vita di qualcuno, per bisogno, per disperazione finisce fra le tue mani. È più facile spadroneggiare sulla vita degli altri, soprattutto dei fragili. È difficile andare oltre l’immediata soddisfazione di un bisogno per tentare di leggere piuttosto il segno come invito ad un di più di vita, per se stessi e per gli altri. È più facile farsi riempire la pancia che lasciarsi provocare ad essere cibo per qualcuno o a nutrire meglio se stessi. È difficile essere presenza eucaristica, segno di vita che si spezza soprattutto nei confini spesso giudicanti del nostro vivere. È molto più facile vivere sottotraccia per risparmiarsi i giudizi sferzanti degli altri e non avere fastidi. Quanta gente sta sul suo. Spesso mi capita di sentire i familiari di chi se ne va e quasi come un vanto, quasi fosse qualcosa da esibire del loro caro estinto dicono che ha sempre pensato solo alla sua famiglia e non è andato ad impegolarsi con la vita di nessun altro, stava a casa sua e attendeva i suoi affari. Che bel quadretto! Il pane che da’ la vita è il pane che accetti di spezzare e noi siamo vivi nella misura in cui la vita che abbiamo fra le mani è come il pane che spartisci, la tua carne per la vita del mondo. Tutto questo continua a scandalizzare, cioè a farci inciampare, a farci prendere le distanze, a spingerci ad andarcene. Anche noi facciamo fatica a credere, ma a cosa? Al fatto che il pane diventa corpo e il vino diventa sangue? È molto più facile credere alla transustanziazione rispetto al fatto che lo stesso messaggio possa avere ripercussioni decisive sulla nostra vita, fatti pane e spezzati, versati come vino per la sete di altri. Non crediamo perché non ci conviene credere, non ci torna utile, ci disturba. Il credere non è affidarsi all’incredibile, è giocarsi la vita nel dono e accettare che sia strada alla salvezza. Se ne sono di fatto già andati in tanti, ma da cosa? Dalle verità di fede? O non piuttosto dal rischio che la vita sia invischiata nel vangelo e diventi vita messa a rischio, vita passibile di essere ferita, vita giocata in perdita. Anche tra noi qualcuno non crede? Ma, ridiciamocelo, non è questione di dottrina, è questione di vita da mettere in campo, e se resti sei fregato. Se te ne vai ti risparmi e non hai grane.
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