Domenica 29 settembre 2024 – XXVI TOB – Marco 9,38-43.45.47-48

Pubblicato da emme il

Vi capita di invidiare il bene che fanno gli altri? A me sì, mi sono trovato più volte nella situazione di dover gestire tale sentimento. Mi rammarica ma è così. So che è una cosa stupida soprattutto perché mi distrae dal bene possibile, dal bene che posso fare io, fosse anche dare a qualcuno un solo bicchier d’acqua. E’ poco? È tutto, se la sete è grande. Il bene che fanno gli altri e il bene che faccio io, messo insieme, trasforma il mondo, ma davvero. “Fossero tutti profeti nel popolo del Signore”, abbiamo letto dal libro dei Numeri. Ma di fatto guardiamo gli altri e il loro operato, quasi sempre con una vena di sospetto, insinuando un leggero dubbio sulla loro buona fede. Che triste! Perchè questo fa sì che il bene invece di dilatarsi si comprima, si contenga, si limiti. Se ai Dodici se ne aggiunge uno, se ai settanta se ne aggiungono due, il problema dove sta? Che il mio potere si assottiglia? Il potere del bene può essere pericoloso e deleterio tanto quanto il potere del male, forse è più subdolo, forse si insinua più sottilmente, forse è più facile mascherarlo ma se nasce dal bisogno di esercitare un potere è un bene malato. Il bene fatto bene è uno degli slogan al Sermig di Torino, il bene fatto bene. Il bene che facciamo può velarsi di protagonismo e allora sarà il caso di curarlo. La tua mano, il tuo piede, il tuo occhio sono motivo di scandalo? dice Gesù a discepoli invidiosi e settari. Tagliali, toglilo, perché tutto non bruci nel fuoco della Geenna, perché tutto non sia come immondizia. La Geenna è la valle a sud di Gerusalemme dove bruciavano continuamente a cielo aperto le immondizie della città. È vero che in altre parti del vangelo si dice che brucerà la paglia, cioè solo il negativo di noi, e il buon grano sarà messo al riparo, ma questo non ci esime dal dover curare il cuore perché non ospiti ciò che allarga il male invece di limitarlo. È vero che il bene può nascere da una fatica, da una sofferenza, da un patimento, ma dovrò continuamente purificarne la sorgente. Qualche giorno fa un’amica mi parlava simpaticamente di un prete che ha in antipatia i ricchi forse più per quello che ha patito da piccolo quando i suoi coetanei potevano permettersi delle cose a cui lui non poteva aspirare. Forse nasce da lì la sua sensibilità per i poveri e per la giustizia. E va bene, è la vita che ci porta dove siamo ma questo non ci esime dall’assumere quello che diventiamo con rinnovata responsabilità. Ma dovremmo anche dire, ascoltando Giacomo, che a qualcuno potrebbe venire qualche scrupolo di coscienza in più perché anche ai ricchi la vita mette davanti la fatica di altri, fosse anche la loro invidia. Allora avremmo tutti un atteggiamento diverso, io per primo, al cospetto dei poveri di tutte le risme, migranti compresi, visto che oggi, come chiesa ne celebriamo la Giornata.


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