Domenica 30 marzo 2025 – IV di Quaresima C – Luca 15,1

Pubblicato da emme il

È conosciuta come parabola del figliol prodigo o del padre misericordioso ma non si dice che potrebbe essere anche la parabola del figlio spilorcio, o invidioso, o calcolatore, perché di fatto anche il secondo dei figli, il più grande, è a pieno titolo un protagonista del racconto e decisamente il più triste, il più gretto, il più controverso. Ed è probabilmente il soggetto della storia con più sosia al mondo, in tanti potremmo vestire, di fatto, i suoi panni e riconoscerci in lui. C’è un figlio perduto che è stato ritrovato, un figlio morto che è tornato in vita, un figlio che fa Pasqua ma c’è anche un figlio che non fa Pasqua, un figlio che è più perso e più morto dell’altro. Fare Pasqua è permettere a qualcuno di passare dalla morte alla vita. Il figlio maggiore non ne sembra capace e per questo neppure lui fa Pasqua, resta nella morte. La parola fratello nel racconto compare soltanto una volta, si parla sempre e solo di figli e di figli che sembrano unici. La parola fratello sta in bocca al padre: “Tuo fratello è qui”. Ma quella parola non appartiene al vocabolario del figlio maggiore, non transita in lui. “Questo tuo figlio”, così lo definisce dialogando col padre, sottolineando chiaramente l’assenza di un legame. Il racconto è un pretesto per mettere all’angolo farisei e scribi. Gesù fraternizza coi figli minori del suo tempo: pubblicani e peccatori ma farisei e scribi storcono il naso perché non può esserci compromissione, per loro è inconcepibile che ci sia un contatto rischiando di contagiarsi. Ma fare Pasqua è passare e passare insieme verso le sponde della fraternità. È una fatica immane che la Bibbia torna e ritorna a raccontare nelle vicende di Abele e Caino, Isacco e Ismaele, Giacobbe ed Esaù, Giuseppe e i suoi fratelli, ma ne troveremmo tante altre… “Dio… ha affidato a noi il ministero della riconciliazione… e… la parola della riconciliazione”, questo abbiamo letto dalla seconda lettera di Paolo ai Corinzi. Riconciliare, è spingere perché l’unità si ricomponga, è mettere in movimento qualcuno verso qualcun altro, è ritrovare la strada verso l’altro. Ma quante sono le forze che anche oggi ci trascinano lontani, distanti, in direzioni opposte. È ciò che succede nel macro perché, ahimè, succede nel micro. Se sapessimo riavvicinarci e fare quei passi che ci consentono di vederci in faccia. I due figli del vangelo si evitano, non si incontrano, i loro occhi non si incrociano. Ma c’è bisogno dei volti perché passino le cose vecchie e ne nascano di nuove. Le distanze non aiutano, anzi. Ricorderete forse anche voi il tavolo a cui si sono seduti, già tre anni fa, Putin e Macron, l’uno ad un capo e l’altro al capo opposto, più di sei metri di distanza fra loro. E come puoi chiamarlo faccia a faccia? Per parlarti devi alzare la voce, ma chi vuole riconciliazione sussurra, non grida. La novità passa solo per la prossimità. Saremo nuovo solo e soltanto se saremo fratelli. Non c’è alternativa.


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