Domenica 12 luglio 2020 – 15 TOA – Matteo 13,1-23

Pubblicato da emme il

Tanta folla… tutta la folla… molte cose… Sono indicazioni che introducono nel vivo del racconto di oggi offrendocene già la chiave di lettura. Il molto, il tanto con cui si inizia descrivendo il contesto è quel tanto e quel molto che ritroviamo nel gesto largo e generoso del seminatore. Sono immagini che non ci appartengono più, la nostra mente non le recupera in nessun meandro della memoria, il nostro coltivare tutto è meccanizzato. Bisogna contemplare i quadri di Van Gogh o di Millet per capire cosa si sta dicendo nel vangelo. La bisaccia è colma, il pugno è pieno, il braccio è largo, l’incedere sicuro. Il seminatore è un sognatore e il gesto dello spargere non può essere chirurgico, preciso. Non sarà un gesto calcolato, misurato. Sarà piuttosto carico di ingenua speranza, di cocciuta passione per un futuro che incombe. Cosa ci sta dicendo Matteo in questo più che noto passo del suo vangelo? Ci sta raccontando Dio. Ci sta dicendo chi è, cos’è. È un Dio che sogna, che già abita il futuro, che non calcola, che si fida, che spera. Non vi ho letto la seconda parte del vangelo di oggi, probabilmente, a detta di molti autorevoli esegeti, un’aggiunta postuma. Per non tediarvi ma soprattutto perché mi sembra che la virata moralistica che la seconda parte contiene non si ponga granchè in continuità con quanto abbiamo scelto di leggere. Le parole di Gesù non sono immediatamente un giudizio su chi ascolta. Non sono un avvertimento o una minaccia rivolti a quelle vite che assomigliano ai diversi terreni di cui ci parla la parabola: pieni di saggi, invasi dai rovi, o battuti perché vi si transita. La vita di ciascuno, così com’è, è il terreno su cui Dio sparge abbondante, generoso il seme della sua Parola, nella speranza che attecchisca e germogli. Come fa la pioggia, come fa la neve, così la Parola, scrive il profeta Isaia, non torna senza effetti, senza aver operato trasformazioni, senza aver generato cambiamenti. La vita di Gesù è descritta in quel gesto che racconta un folle spreco, un esagerato slancio di gratuità. Per Dio questo è vivere, rischiare la vita perché germogli generosamente altrove. Per noi cos’è vivere? È misurare il dono o elargirlo, è contenerlo o liberarlo? Non c’è futuro se non c’è speranza. Non c’è oltre se c’è calcolo. “Chi ha orecchi, ascolti”. Finisce così il pezzo di vangelo che abbiamo letto. Che la fiducia incondizionata che Dio nutre nei nostri riguardi sia la fiducia che popola libera le nostre relazioni. Lo dico spesso a chi viene a confessarsi. Confessarsi è ridire la nostra fede in un Dio che crede in me, che vede oltre, che annusa già il buono del mio futuro, quel cento, quel sessanta, o quel trenta. Sapessimo vederlo anche noi. Anche il trenta è tanto, è molto.


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