Domenica 8 dicembre 2024 – Immacolata Concezione – Luca 1,26-38
L’angelo Gabriele fu mandato… a una vergine. La verginità di Maria… l’abbiamo quasi sempre e solo intesa nel suo senso biologico. Perché? Forse perché tutto ciò che attiene alla sfera della sessualità è stato pensato come peccaminoso? Ma è peccaminosa la sessualità? Lo è tanto quanto può esserlo la lingua, la mente, la mano… se usate male. Verginità significa anche che non c’è un uomo e in un contesto come quello del tempo di Maria, decisamente maschilista e patriarcale (ahimè non ancora radicalmente diverso dal nostro), la maternità di una vergine potrebbe essere anche la contestazione di questo schema. Il: “Non conosco uomo” di Maria sembra la premessa al suo superamento. Il latino virgo viene dall’indoeuropeo varg che significa essere gonfio, turgido, rigoglioso, maturo. E urg, altra parola del sanscrito, significa esuberante, fertile, ubertoso. Vergine non significa dunque soltanto illibata, quindi pura, casta, integra, immacolata, intatta. È piuttosto la condizione di colei che è pronta, matura. Pronta per cosa, matura per cosa? All’inazione perché Dio operi. Verginità quindi è pura accoglienza, totale predisposizione al dono, a fare vuoto per contenere il Tutto. Ma attenzione: Maria non è la ragazza languida che si abbandona al capriccio di qualcun altro, fosse anche quello di Dio. No, è la donna che interroga e si interroga. È la donna che non fa semplicemente quello che le dicono, come doveva essere, ma fa dopo che ha capito, e sceglie, decide a partire da quello che ha capito. Rallegrati, piena di grazia… Hai trovato grazia presso Dio, le dirà l’angelo. Cos’è la grazia? È la benevolenza di Dio, il suo favore. Dio, qui li esprime nei riguardi di Maria, ma ha guardato alla piccolezza, all’umiltà di tanti altri, di Abele (preferendolo al fratello Caino), di Giuseppe, di Davide, delle sterili come Sara, Anna, Elisabetta. Gesù ha guardato all’umiltà, alla piccolezza di tanti, uomini e donne… incrociati lungo i suoi cammini. Dio ama la piccolezza perché possiamo amarla noi, la nostra, e quella degli altri. La piccolezza, condizione necessaria per aprirsi al dono, alla grazia appunto. Maria è diversa dagli altri, è più degli altri? Maria è la donna che noi abbiamo trasformato in Madonna, ma la grazia è la grazia e raggiunge chiunque in misura uguale e sovrabbondante. Molto dipende dallo spazio che facciamo alla grazia, a Dio, al suo amore. Rallegrati se lasci che il Signore sia con te, se gli permetti di riempirti di lui. Hai trovato grazia Maria perché hai accolto smisuratamente quella grazia. Nella sua vecchiaia (Elisabetta) ha concepito anch’essa un figlio… nulla è impossibile a Dio. Parole problematiche. Elisabetta partorisce! Perché per lei diventa possibile, per intervento divino, ciò che per altre resta impossibile? C’è chi partorisce e chi no, c’è chi guarisce e chi no, c’è chi vive e chi muore, c’è chi perde il lavoro e chi lo trova, c’è chi vince e c’è chi perde. Dio c’entra? Attenti: la risposta può essere pericolosa perché ne può uscire un’immagine tragica, tremenda, sbagliata di Dio. L’idea di un Dio capriccioso di cui bisogna conquistarsi il favore. È così? Questo è Dio? Cosa significa che rende possibile l’impossibile? Forse più che essere una questione che tira in ballo Dio è una questione che tira in ballo noi. L’apertura alla vita, alle sue sorprese, ai suoi miracoli domanda che io sia nella disponibilità a lasciarmi raggiungere ed abitare dall’inatteso, dall’insperato, dall’imprevisto. Abbandonarsi, che è il contrario di controllarsi e quindi limitarsi, trattenersi, risparmiarsi, è dire, come Maria, ci sono! Ci sono perché l’impossibile si faccia strada, e gli metto a disposizione la mia carne. Senza la mia carne non si fa nulla e non fa nulla neppure Dio, magari, se non con la nostra, farà con la carne di qualcun altro…
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