Domenica 9 agosto 2020 – 19° TOA – Matteo 14,22-33

Pubblicato da emme il

Ricordate una settimana fa? Il vangelo si apriva con il racconto di Gesù che fugge e cerca un luogo lontano, solitario, deserto. Dopo l’immersione nella folla segue qui un altro congedo che lo porta di nuovo in disparte, stavolta sul monte, come Elia sull’Oreb, sulle tracce di altra solitudine o forse di una compagnia, quella del Padre, necessaria quanto la compagnia degli uomini: come fossero i due polmoni con cui respira ogni vita, come fossero sistole e diastole di un cuore che batte per farci vivere. Vado subito a ciò che mi ha colpito di più. Cercando un’immagine da inserire nel foglietto settimanale mi sono imbattuto in un dipinto di Sieger Koder. In primo piano come vedrete, se raccoglierete il foglietto, due mani che si afferrano e sullo sfondo una barca in balia delle onde. Quelle mani raccontano una grande verità: dicono che dentro le fatiche non possiamo starci da soli. Pietro afferra addirittura a due mani la mano che tende Gesù e mi sovviene un’altra immagine: nelle icone orientali che raccontano la risurrezione, la figura di Gesù risorto si staglia al centro, le porte degli inferi sono divelte e le sue braccia sono tese per raccogliere, da quel luogo di morte, Adamo ed Eva, ogni uomo. E il mare in cui Pietro affonda cos’è, se non l’inferno in cui ognuno sprofonda. Se ripenso alla settimana appena conclusa affiorano alla memoria tanti volti e le storie di chi pur immerso nel dolore non annaspa e non annega perché c’è qualcuno che governa un mare minaccioso, qualcuno che rasserena le acque e intima al vento di tacere. Gesù camminava davvero sulle acque? Gesù ha abitato la fatica e il dolore di tanti allungando e stringendo le mani a coloro che le tendevano. Il mare presso gli antichi e quindi in un libro come la Bibbia è il luogo dell’ignoto, è il regno delle tenebre, è lo spazio in cui si scatenano forze misteriose e minacciose. Anche lì il Maestro esprime la sua forza che è presenza. Non sono forse gli altri a renderci umano perfino il patire, a renderci almeno un minimo sopportabile l’intollerabile, l’inaccettabile? Penso a chi sta con me dentro un lutto, penso a chi mi accompagna nella malattia, penso a chi fa per me le cose che non posso fare, penso a chi fa di tutto per tenermi con sé e non mi cerca un posto a Villa Serena o in qualche altra casa di riposo del territorio, penso a chi fa della sua casa la mia casa, penso a chi mi offre un lavoro per permettermi di restare in Italia. Dietro a questi esempi ci sono volti e storie che si aggiungono ai volti e alle storie che conoscete voi. Il miracolo qual è? Se sono io ad allungare la mano questo è già un miracolo, se io ne trovo una che si allunga e mi raggiunge questo è un altro miracolo. E devo riconoscerlo. Tutto questo fa si che il vento si plachi e il mare si calmi e anch’io, come Elia, riconoscerò Dio in un una brezza di silenzio sottile o in una dolce carezza d’uomo.


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