Giovedì Santo – 6 aprile 2023 – 1Cor 11,23-26
“Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga”. Ci abbiamo mai pensato? Immagino di sì! Radunarsi, in particolar modo di domenica, per celebrare l’eucarestia, è ridirci che qualcuno è morto, che uno ci ha rimesso le penne. Macabro appuntamento il nostro, dunque? Sì perchè qualcuno è morto, o meglio, qualcuno è stato ammazzato. Domenica sentendo e risentendo la Passione mi sono ritrovato a fare centro attorno ad una frase: Ma che male ha fatto? Sono le parole di Pilato al termine del processo. Di lì a poco, liberando Barabba, avrebbe consegnato Gesù, perché venisse crocifisso. Fino all’ultimo genera salvezza nelle vite che incrocia. Barabba è l’ultimo a beneficiare, pur indirettamente, di quel che un tale, per cui ci si domanda: ma che male ha fatto? è capace di mettere in circolo. Barabba. Sapete cosa significa? Significa figlio del Padre. Gesù baratta la sua figliolanza per tornare a regalarcela, e rifarci figli. Anche sotto la croce, in quello che sembra un gioco, la dignità ci è ridonata. Lui muore spoglio ma la veste che sta ai piedi del palo a cui è appeso, e che i soldati si giocano tirando i dati, è il segno di una ripartenza sempre possibile. È stato così fin dall’inizio, col primo uomo. Dio stesso cuce dei vestiti di pelle dopo che l’aver fatto i conti con la nudità li ha coperti di vergogna, e poi col figlio della parabola che si racconta nel vangelo di Luca, lì il padre con un cuore gonfio di misericordia riveste il figlio immiserito con la prima veste, quella di una dignità che agli occhi di quel padre, quel figlio, non aveva mai di fatto perso. Che male ha fatto? Si domanda Pilato. È piuttosto tutto il bene di cui è stato protagonista a fargli salire il Golgota. Il pasto di stasera è memoria di una morte piena zeppa di vita. Potremmo domandarci tutti quanto stiamo riempendo di vita la vita perché anche la morte ci sorprenda vivi. È di vita che noi ci nutriamo accostandoci all’eucarestia. La vita di uno che è Vivo per quanto viva è stata la sua vita è la tavola costantemente imbandita a cui continuare a cibarsi per far sì che egli venga, come abbiamo letto nella seconda lettura di stasera. Egli viene in vite vive che continuano ad essere segno, memoria. Fate questo in memoria di me. Siate vivi per renderlo vivo. È l’appello che sentiamo risuonare tra i confini di questo giovedì santo che già si affaccia drammaticamente sull’abisso. I segni che si pongono servono a far parlar di vita anche la morte e dunque: la croce sarà albero su cui matura il frutto del dono di sé, la ferita aperta sul costato sarà sorgente che feconda ogni aridità, la tomba sarà il grembo che custodisce vita pronta a rigermogliare. Questo giovedì alza il sipario sul dramma di una morte di cui continuare a far memoria perché ci sorprenda la vita.
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