Non gli sarà spezzato alcun osso
“Non gli sarà spezzato alcun osso. Questo dicevano affinchè si adempisse la Scrittura” (Gv 19, 26). Le ossa non spezzate per adempiere la Scrittura, riguardano le prescrizioni che si trovano nel Libro dell’Esodo dove, a proposito dell’agnello che deve essere consumato nei riti della pasqua, sta scritto: “In una sola casa si mangerà: non ne porterai la carne fuori di casa; non ne spezzerete alcun osso” (Es 12,46). Ora, così realmente è avvenuto per Gesù, l’agnello di Dio indicato dal Battista, l’agnello mansueto condotto al macello di cui parla il profeta Isaia. Scrive Giovanni (nel capitolo 19): “Era il giorno della Preparazione e i Giudei, perché i corpi non rimanessero in croce durante il sabato (era infatti un giorno solenne quel sabato), chiesero a Pilato che fossero loro spezzate le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe al primo e poi all’altro che era stato crocifisso insieme con lui. Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua”. A Gesù, proprio perché è già morto, non gli vengono spezzate le gambe per accelerarne il decesso. Gli viene comunque riservato il così detto “colpo di grazia” per accertarsi della sua morte reale. Da quel colpo di lancia, scrive Giovanni, uscì sangue ed acqua. L’evangelista, che è un buon conoscitore della Scrittura, vi legge in tutto questo ciò che lui definisce “adempimento”. Tale adempimento o compimento che riguarda la Scrittura, là dove si parla dell’agnello consumato nei riti di pasqua, per l’evangelista riguarda Gesù, il vero agnello immolato nella nuova Pasqua. Guardando Gesù appeso sulla croce, la comunità di Giovanni vi vede l’agnello mansueto condotto al macello di cui parla Isaia nei capitoli 52-53, che “si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti”. Proprio di fronte a questo corpo nudo ed esposto su un patibolo, lo sguardo dei passanti non può reggere l’orrore di un volto sfigurato di un corpo dilaniato. Ancora di più, al pensiero che quel corpo lacerato possa essere il corpo di Dio, riservato ad una condanna riservata agli schiavi, non può che destare lo stupore che rasenta lo scandalo e l’indignazione. “Come molti si stupirono di lui – tanto era sfigurato per essere d’uomo il suo aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell’uomo… Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere” scrive Isaia. Davanti a quel crocifisso senza braccia e senza gambe esposto nella chiesa di San Giuseppe, potrebbe anche a noi nascere un senso di riprovazione di fronte a quell’immagine deturpata nella sua integrità. Ma quel corpo lacerato dal dolore di un’umanità profondamente ferita – umanità di sempre perché il dolore di oggi è semplicemente amplificato perché tocca anche noi, ma in realtà questo è il dolore di sempre – è rappresentazione di un corpo che si è caricato del dolore di sempre. E in quel corpo trova spazio la nostra salvezza, poiché solo ciò che è assunto è salvato. “Ecco l’Agnello di Dio che prende su si sé e toglie il peccato del mondo”. Nel prendere e caricare su di sè tutto quel dolore, Dio ci ha riscattati dal suo peso insopportabile e liberati. La nuova pasqua è passaggio di riscatto da ogni smarrimento, e liberazione in quel Dio che come Buon pastore si mette alla ricerca della pecora perduta e la carica su di sé. “Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia; era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti”. Quel crocifisso senza braccia e senza gambe, che si trova nella chiesa di San Giuseppe, potrebbe anche disorientarci, ma se questo ci serve a ricordare i corpi violati per ogni forma di ingiustizia, allora ciò che ci è di scandalo nel senso di pietra di inciampo, può ridestare la nostra attenzione per volgere, come scrive il profeta Zaccaria, “lo sguardo a colui che hanno trafitto “ (Zaccaria 12,10).