Pasqua di Risurrezione – Domenica 12 aprile 2020 Unità Pastorale Santi Giuseppe e Zeno
Nel corso di questa inedita Quaresima abbiamo,
di domenica in domenica,
contemplato il crocifisso realizzato da un pittore vicentino: Piero Dani. L’abbiamo esposto sopra il portale, all’interno delle nostre chiese.
È stato presenza solitaria in chiese forzatamente svuotate.
Oggi, al termine di un lungo cammino di purificazione,
ahimè non ancora finito,
tanto che ci verrebbe da dire… non è ancora Pasqua,
vorremmo contemplare, attraverso la stessa immagine, il mistero che comunque celebriamo nel tentativo di scorgere,
facendo più fatica del solito, i segni pur timidi e mascherati della Pasqua.
Vi offriamo i nostri occhi per contemplarlo e pregarlo ostinatamente, contro ogni evidenza, come il Signore della vita, il Dio che vince anche per noi la morte.
È un crocifisso vivo.
Troneggia sulla croce con un corpo non deturpato dalla violenza dei colpi inferti, dal peso del patibolo che spezza le ossa nel tragitto dai palazzi del potere al Golgota.
Gli occhi aperti e lo sguardo fisso su ogni volto per dire a ciascuno, come accadde al giovane ricco o al pubblicano Zaccheo, amore senza condizioni.
Sul capo non un casco di spine che infisse nella carne ne inondano il volto di sangue, ma la corona dei re, di quelli che governano servendo, di quelli che la indossano perché sanno stare ai piedi degli altri come fanno i servi.
Addosso non il manto scarlatto della derisione o peggio la nudità, l’esibita fragilità inflitta e imposta ai maledetti, ma una veste regale, bordata d’oro, per dire che la dignità abita là dove la vita è consegnata, la vita è offerta, non trattenuta.
I segni dei chiodi riempiti con l’oro perché spesso dentro le fatiche più grandi transita la vita più vera.
Il costato trafitto che zampilla, feritoia che ci ripartorisce. Acqua e sangue come in ogni nascita, battesimo ed eucarestia, fonti che irrigano e fanno crescere la nostra fraternità fino a farci popolo.
Le braccia infisse al legno, larghe e lunghe, non trascinate in basso dal peso di un corpo che senza respiro s’accascia, ma caparbiamente allargate in un abbraccio che non esclude nessuno.
Contempliamo il crocifisso risorto e abitiamo l’esistenza pur ferita nella speranza che anche le nostre stigmate siano sorgenti da cui può sgorgare testardamente la vita.
Cristo è risorto. Riposiamo in questa certezza e la vita ci faccia dire, nonostante le apparenze: sì è veramente risorto!