Sabato 2 novembre 2024 – Commemorazione dei fedeli defunti – Mc (5,22-24.35-43)
In questo luogo in cui si dorme, questo significa la parola cimitero, torniamo a far visita alle persone che ancora amiamo, lo dicono anche i fiori che portiamo alle persone che siamo venuti a trovare, le luci che abbiamo acceso. I colori, per contrastare il pallore della morte, la luce, per attenuare la paura in cui ci fa piombare la notte. Non è la città dei morti, una necropoli, ma dei dormienti. E chi dorme non è morto. “La fanciulla non è morta, ma dorme”, dice Gesù a chi piange la figlia di Giairo, il capo della sinagoga. L’unica cosa che possiamo fare oggi è rianimare la fiamma della speranza. Speriamo, per noi e per chi non c’è già più, che la vita non finisca, o se quella di cui abbiamo fatto esperienza finisce e non torna, che in Dio altra vita ci sorprendq e ci abiti. Anche la filosofia, non solo la religione, ci autorizza a sperare. Se l’uomo riesce a pensare l’infinito, l’oltre, l’eterno è perché potrebbe esistere. Solo ciò che non riesci a pensare e ad immaginare non ha la possibilità di essere. Ci basta questa risposta? Probabilmente no ma è tutto ciò che possiamo dirci. Anche ciò che leggiamo nei vangeli resta puro oggetto della nostra fede. Nessuno è stato spettatore della risurrezione di Cristo e le apparizioni del Risorto sono esperienze alle quali si può solo credere come tutto ciò che vivono e ci raccontano gli altri. La speranza non sempre vince la disperazione, la fiducia non sempre contrasta l’incredulità. Vorremmo che la risposta alla morte fosse la vita ma tutto ciò che è nelle nostre possibilità è che questo valga in primis per noi. Che risposta offro alla morte? Alla morte che visita e attraversa i miei giorni e le relazioni che intreccio? Gesù prende per mano la morte. “Prese la mano della bambina”, leggiamo ancora nel passo di Marco e poi “disse di darle da mangiare”. Di cosa nutriamo la vita perché rimanga viva? È davvero solo questo l’antidoto alla morte, tener viva la vita in noi e in coloro che si avvicinano a noi per attingere vita. La morte ci ha fatto visita nella morte di quanti abbiamo amato e ciò che più ci manca è quella vita che questi cari hanno tenuto accesa in noi. Ci arrenderemo alla morte, è inevitabile, ma nel frattempo serviamo la vita, è l’unico modo per non morire già da vivi. Teniamo a bada la morte vivendo e sostenendo la vita. Nel qui e nell’ora è quel che possiamo noi, nell’altrove e nell’oltre crediamo possa occuparsene Dio che da morte ha risuscitato suo Figlio. La speranza attenui il dolore per perdite ancora inconsolabili e l’amore dei vivi sostenga i percorsi faticosi di chi fa i conti con la morte. Il mondo che abitiamo sopporta la morte senza supportare adeguatamente la vita, senza servirla come va fatto. Con la morte si fanno i conti ma vanno fatti anche con la vita, perché viene prima e vivere e far vivere è il primo e l’inabdicabile compito.
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