Domenica 13 ottobre 2024 – XXVIII TOB – Marco 10,17-30
Che scena triste ho visto ieri mattina fuori da un bar: dei ragazzini che grattavano dei gratta e vinci sotto lo sguardo compiaciuto di un genitore, in attesa con loro di vedere se avessero o meno vinto. Perché è triste questa scena? O forse non lo è? Gratti per vincere, cioè per fare soldi, e sono sempre i soldi degli altri, quelli (pochi o tanti) che qualcun altro ha sicuramente sperperato e perso. Siamo quello che facciamo e quello che abbiamo (Cosa devo fare per avere la vita eterna?) e se non abbiamo percorriamo strade facili, ma fallaci, per avere o, quasi sempre, sognare di avere. Anch’io mi ritrovo preda dell’invidia per chi ha e chi può. Perché io non ho più di quel che ho? Perché io non posso, più di quel che posso? Domanda più che lecita se fare una cosa piuttosto che un’altra, se avere di più, rispetto ad aver meno, apre possibilità, carriere, opportunità. Ma Gesù al tipo del vangelo, uno che fa le cose giuste, uno che ha tanto (non si dice se per merito o se perché ricco di famiglia) chiede di disfarsi di quello che ha, spartendolo. Ma sembra che anche lo spartire, il condividere sia soltanto un mezzo per arrivare all’obiettivo. Segui un’altra rotta, quella per cui non ha importanza ciò che hai e ciò che fai. Nella prima lettura si parla di un ingrediente che, più di altri, rende sensati i giorni dell’uomo se aggiunto alla vita: la sapienza, la capacità di scegliere ciò che ha valore, ciò che ha sapore. E bisogna anche imparare ad assaporare, cioè non divorando la vita ma accostandosi ad essa con venerazione, senza essere famelici, con delicatezza perché è un bene prezioso, perché la vita va accostata come merita, senza ingordigia. Questo, Gesù, domanda al tale del vangelo. Disfati soprattutto del modo con cui ti sei finora approcciato alla vita, e cercane un altro. Sciogli gli ormeggi e avventurati nel terreno del precario perché solo questo ti darà modo di incontrare davvero la vita non in ciò che fai e in ciò che produci. La fragilità e il limite possono aprirti al vero tesoro. Credo che la vita di Sammy Basso ne sia una testimonianza luminosissima. Ieri, a San Giuseppe, abbiamo salutato una persona, quasi anonima, pochissime persone in chiesa perché poco conosciuta. Una persona silenziosa, pacata, schiva. I famigliari hanno letto un messaggio e una frase mi ha colpito più delle altre: ha riempito la sua vita con le gioie degli altri. Non che ci sia vietato di gioire per le nostre conquiste, per i nostri traguardi ma perché la vita non potrebbe essere riempita dai risultati conseguiti dagli altri. E’ un’eredità bellissima quella che lascia quest’uomo sapiente che non ha aggredito la vita ma l’ha serenamente accolta. Che invidia? A questo punto però si tratta di capire cosa e chi invidiare. Se chi fa ed ha o chi vive cercando il senso su altre rotte.
1 commento
Enne (vedo che chi pubblica, appare come "emme", perciò, mi adeguo) · 17 Ottobre 2024 alle 0:47
Già il fatto che chi pubblica il commento, si definisca come “emme”, la dice lunga sulla coerenza e credibilità… poi, definire “triste”, la scena descritta, arrogandosi il ruolo di giudice solo aver visto quanto descritto e facendo tutta una serie di congetture consequenziali, mi fa proprio pensare che siamo molto lontani dalla possibilità di cercare una intesa evangelica… che ne sappiamo noi delle necessità che può avere il genitore responsabile di quanto sopra? Magari, è proprio il sistema di disuguaglianza in cui viviamo che lo ha indotto a tentare anche questa strada della fortuna… E da chi è fatto il sistema? Magari proprio da quella Chiesa che giudica e che si guarda bene dal condividere le sue ricchezze e la sua opulenza… Anch’io, quando ero più giovane, avendo sofferto molte situazioni di indigenza e precarietà, assumevo atteggiamenti di giudizio su chi sprecava e ancor oggi lo faccio, ma con occhio più critico, selettivo e preciso, perché ho capito che proprio chi prende certe posizioni di supremazia e di dominio istituzionale, è il primo che alla fine ti massacra con le sue riflessioni, giudizi, azioni e via dicendo… Soprattutto perché vive in una posizione sostanzialmente garantita e intoccabile, anche se di grande responsabilità. Insomma, chi predica e vive e agisce, non è un San Francesco d’Assisi, tanto per intenderci, ma tutt’altro